Note di regia di "Haiku on a Plum Tree"
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Haiku on a Plum Tree" ("
Haiku Sull’albero Del Prugno") La vita è una questione di scelte. “Sono entrata in prigione con le mie gambe, forte della mia scelta e volontà morale”. Così diceva mia nonna Topazia Alliata, rimasta fedele e orgogliosa della sua scelta fino alla sua morte, avvenuta nel novembre scorso, a 102 anni da poco compiuti.
Nel 1938 Topazia e suo marito Fosco Maraini – oggi noto antropologo e orientalista – partono per il Giappone, lasciandosi alle spalle un’Italia oppressa dal Fascismo, divenuta ormai insostenibile per una coppia giovane, vitale e anticonformista. Segue un periodo di piacevole serenità famigliare alla scoperta di nuove usanze e tradizioni, ma guerra e sofferenze incombono. All’indomani dell’8 settembre 1943, Topazia è costretta a scegliere se rimanere fedele ai suoi princìpi: rifiuta coraggiosamente di firmare per la Repubblica di Salò, condannando se stessa e le figlie – Dacia, Yuki e mia madre Toni – ad essere l’unica donna (e le sole bambine) in un campo di prigionia giapponese. La famiglia dovrà affrontare mesi durissimi prima di essere liberata nell’agosto 1945: il freddo, la fame, stenti e umiliazioni sono all’ordine del giorno.
Durante la prigionia Topazia annota pensieri ed emozioni su un piccolo diario le cui pagine ingiallite – ancora oggi vi si può leggere il racconto di quei giorni, interrotto qui e lì da qualche scarabocchio di Dacia bambina – restano le protagoniste fondamentali di questa storia. Proprio per il suo carattere di testimonianza diretta, il diario darà a mio nonno Fosco la possibilità di riaprire un capitolo doloroso della nostra storia familiare nella sua autobiografia romanzata Case, amori, universi (1999).
Quel piccolo taccuino dalla copertina verde costituisce attualmente l’unica testimonianza scritta da un’italiana, riguardante un campo di prigionia giapponese (sarà pubblicato nel 2003 come Ricordi d’arte e di prigionia di Topazia Alliata, Toni Maraini, Sellerio editore).
Sono convinta che la scelta di Topazia abbia profondamente segnato la mappa interiore, il DNA e l’integrità morale della sua discendenza, per almeno due generazioni. Un albero familiare è fatto di scelte e bivi, di mappe e luoghi.
Crescendo mi sono chiesta come sarebbe stata la mia vita se mia nonna avesse mentito, se avesse scelto di firmare per il regime in modo da proteggere la sua famiglia. Oggi, come donna e madre, capisco la potenza e la profondità di quella scelta, e la portata di quei racconti – atti eroici conditi di risvolti tragicomici – che da anni circolano in famiglia.
In verità, solo ora capisco che quelle storie parlavano di fame, sacrifici, perdita, dolore, onore e coraggio.
Haiku è un viaggio personale – come nipote, figlia e madre – alla ricerca del mio passato e di un lascito familiare collettivo. Un percorso di comprensione e riconciliazione attraverso le generazioni.
Un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio: verso quel Giappone dove mia madre è nata, e in cui non è più voluta tornare.
Un viaggio nella memoria attraverso il Dogugaeshi, spettacolo di Basil Twist, noto artista statunitense, ispirato alla tradizione teatrale giapponese di schermi del 17° secolo. Le scenografie e uso di marionette ci permettono di rendere la memoria tangibile. Nello specifico, gli schermi servono da cornice per l’alternarsi di interviste, animazioni, elaborazioni grafiche, fotografie e filmati e si aprono rivelando strati più profondi invitandoci ad entrare in un universo di mistero e memoria.
Mujah Maraini-Melehi