Note di regia di "Tutto quello che vuoi"
Da qualche anno a questa parte, mio padre si è ammalato del morbo di Alzheimer. Gli esordi della malattia – prima che quest’ultima degenerasse e divenisse drammaticamente invalidante – oltre a gettare me e i miei familiari in un prevedibile sconforto, presentavano aspetti anche molto sorprendenti: la tendenza a confondere le persone le une con le altre, a dire cose anche molto sincere e sconvenienti generavano non di rado momenti toccanti, imbarazzanti e – perché no? – anche buffi.
Ma l’aspetto più interessante era la progressiva regressione verso il passato: nella sua mente prendevano corpo persone e vicende dimenticate, la cui “presenza” dava luogo a rivelazioni impreviste ed anche sconcertanti. L’episodio centrale di questo film – quello relativo alla fuga al seguito dei militari americani, ed al “regalo” da loro ricevuto – è per l'appunto uno di questi, a cui mio padre aveva accennato in passato, ma che non aveva mai raccontato con la dovizia di particolari concessigli dalla malattia.
Dopo un’iniziale resistenza ad affrontare l’argomento, ho provato ad immaginare una storia che avesse al centro quell’episodio, ma allontanandola da me, da mio padre, e dal mio contesto familiare. L’immaginazione si è nutrita anche della fascinazione del mio nuovo quartiere, Trastevere, dell’assorbimento dei suoi personaggi e dei suoi ritmi. Il risultato è che “Tutto quello che vuoi” mette insieme, in maniera abbastanza indistinguibile, vissuto personale ed invenzione romanzesca.
Una volta ultimato il copione, mi sono reso conto che la mia età attuale – 54 anni – si pone alla stessa esatta distanza fra quelle dei due protagonisti, di ventitré ed ottantacinque anni. L’età di mio padre, quella di mio figlio. Una coincidenza fortuita, magari: ma che inevitabilmente implica un bilancio fra quello che è stato e quello che potrà essere.
Francesco Bruni