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Note di regia di "Cenere"


Note di regia di
Cenere nasce dalle radici barbaricine della regista che tredici anni fa rimase ipnotizzata dal carnevale di questa regione dell'entroterra sardo. Un sopralluogo nel 2014 e lo studio del tema e della storia della regione, l'hanno portata a girare questo documentario stabilendosi due mesi a Mamoiada, uno dei villaggi martoriati dalle faide tra famiglie fno agli anni novanta. Ma cosa c'entrano il carnevale, con le sue maschere zoomorfe e antropomorfe e la storia « politica » della Barbagia del nuorese? Il carnevale barbaricino è un'allegoria della vita dell'uomo a partire dalle sue attività che fn dai primordi della sua sussistenza, l'hanno portato ad organizzarsi in comunità fondate sul lavoro della terra e sulla libertà della pastorizia. L'intervento dei governi che fn dai Romani hanno tentato di colonizzare la Barbagia, è stato praticamente, quasi sempre, fallimentare. Così dimostra il fallimento della politica regionale che, per arginare il banditismo che dilagava negli anni settanta, costruì nella piana di Ottana una centrale elettrica ad olio combustibile e una fabbrica di polimeri. Come si può pretendere che un polo chimico, sebbene all'altezza qualitativa di quelli internazionali, possa competere economicamente contro questi in assenza di uno sviluppo coerente e lungimirante del territorio? Ecco che l'essere « isola » torna ad essere sinonimo di isolamento : è, questo, una risorsa o una condanna ? «Il rituale delle maschere tragiche della Sardegna non è del teatro popolare, né una manifestazione carnevalesca » così scrive l'antropologo Bachisu Bandinu nel suo « L'uomo, la maschera, lo specchio ». Cosa sono questi uomini mascherati, cosa racconta il loro silenzio, la loro mimica ? Di chi sono gli occhi severi che trapassano i visi imprigionati nel legno e cosa ci racconta la loro intensità che, ancora oggi, scalfsce la pietra dei volti che sembra quasi siano stati puniti da Medusa ? Cenere è un documentario senza interviste che « si racconta » attraverso i dialoghi diretti tra i personaggi e le diverse storie seguite durante i due mesi di permanenza in Barbagia. Michela, un'anziana contadina di Ovodda che non si è mai sposata, ci introduce nel micro-mondo agro-pastorale, che diventa macro quando entriamo a stretto contatto con i principali protagonisti del flm : Mario e Mauro, padre e fglio pastori, e Franco, che vediamo perdersi nei campi di Cannonau tra la terra argillosa e l'aratro trainato dai suoi due preziosi buoi. Sarà sempre Michela a guidarci nel viaggio che va dalle teste dei buoi scolpite nelle Domus De Janas alla caduta di Don Conte, il Don del suo villaggio, Ovodda. L'unico che festeggia da sempre il carnevale il mercoledì delle Ceneri. Il racconto nasce spesso da analogie linguistiche, che ci portano da una realtà all'altra, come nel caso della « legna ». Questa diventa una parola chiave nel momento in cui ci introduce alla raccolta della legna per la festa di Sant'Antonio – che apre il carnevale - e alla legna bruciata dagli operai in picchetto contro la chiusura della loro fabbrica di polimeri. Il racconto si sviluppa quindi con un linguaggio associativo e il tema del sacrifcio è trattato in modo allegorico : nessun personaggio ne fa riferimento diretto, ma questo è presente ovunque, in silenzio. Scriveva nel '58 l'antropologo danese Andreas Fridolin Bentzon: « Il carnevale barbaricino è la festa delle vedove e dei banditi ». Anche Cenere, a suo modo, ha incontrato le sue vedove, e i suoi banditi.

Camilla Tomsich