Note di regia de "Il Demone di Laplace"
Da millenni l’uomo si pone questa domanda, fornendo risposte di ogni genere che però non sciolgono mai il dilemma. In merito alla questione circa due secoli fa il matematico francese Pierre Simon Laplace prese una posizione estrema: l’universo è un immenso orologio in cui tutte le entità, uomini compresi, si comportano come ingranaggi. Dunque non c’è spazio per la libertà di scelta. Sulla base di questa singolare teoria è nato il “Il Demone di Laplace”, un thriller che parla di destino e di libero arbitrio, simulando una realtà governata da leggi deterministiche. E lo fa in maniera semplice, fruibile, attraverso una storia ricca di situazioni paradossali, in cui la filosofia non è il tema centrale del film, ma il motore che scatena gli eventi e travolge i personaggi. Quando abbiamo iniziato a lavorare a quest’opera ci siamo posti fin da subito due obiettivi.
Il primo era quello di realizzare un film di tensione in cui la vera protagonista fosse la trama, una trama forte, coerente e intrigante. Ogni aspetto del film (fotografia, recitazione, montaggio, effetti speciali ecc.) doveva risultare funzionale alla narrazione, non il contrario. Il secondo obiettivo consisteva nell’adottare uno stile ben diverso da quello seguito dalle altre opere di questo genere, in particolare per un elemento: la violenza. Sotto ogni sua forma (visiva, verbale, fisica) la violenza sembra ormai un ingrediente irrinunciabile per gli horror e i thriller contemporanei, come se il pubblico non si aspettasse più altro da questo tipo di film. Noi invece siamo convinti che lo si possa ancora coinvolgere semplicemente con una suspense ben costruita.
Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi ci siamo ispirati a grandi maestri del passato come Alfred Hitchcock e Val Lewton o anche ad opere irripetibili come “And Then There Were None” di René Clair e “The Haunting” di Robert Wise. Insomma ci siamo mossi nel solco di quel cinema americano classico, in cui la paura non scaturiva da facili espedienti come immagini brutali, urla improvvise o effetti speciali esagerati, ma da una storia appassionante e soprattutto dalla sensazione di tensione, di suspense, di cui l’intera pellicola era impregnata. Abbiamo così investito due anni nello sviluppo di una trama originale e calibrata come un orologio. E abbiamo impiegato cinque anni e mezzo perché la sceneggiatura prendesse corpo in un film dal look un po’ antico, soprattutto nella fotografia (un bianco e nero molto contrastato) e nella scenografia, per la quale abbiamo adottato la soluzione ormai superata dei fondali retroproiettati. Per le musiche, totalmente create al computer, abbiamo scrupolosamente selezionato e utilizzato strumenti classici e soprattutto abbiamo evitato ritmi e sonorità troppo moderne. Insomma il nostro è un film che nello stile guarda molto al passato, riprendendo anche uno schema narrativo classico, ma sviluppandolo in una maniera completamente nuova.
Giordano Giulivi