Note di regia di "Adavede"
La costante necessità di ricercare immagini, spirituale o meno, insita nell’uomo, è ciò che ci distingue da qualunque altra forma di vita ed è il tema principale di questo film, che indaga con “sguardo d’apparenza” la forma estetica della realtà, conducendoci in una periferia in cui le tracce di vita “primaria” e “primitiva” dei suoi abitanti, sono evidenti dovunque. Un film sulla corruzione della memoria, legata sia all’incontro che Clara ha avuto con il cervo, perduto in un cellulare spento, sia alla ricostruzione degli eventi passati per raggiungere il carica batterie dimenticato per via di alcol e droghe. La periferia, con i suoi spazi, i suoi personaggi, la sua storia, è uno dei territori privilegiati dell’avventura esistenziale. L’immagine della città, pur se mostruosa e dissonante, conserva un’estrema organicità, costruendo inoltre la dimensione onirica e personale della protagonista. Il décor architettonico è inerte, immobile fra le case scrostate delle borgate, l’arancio dei mattoncini delle case popolari, entrambe coperti di graffiti, come ruderi abbandonati di un’antichità perduta e indefinita. La periferia diventa allora una città fantasmatica, un fantasma urbano che non fa che esaltare la natura di una stratificazione urbanistica e sociale in cui sembra che non esista alcuna materia solida, ma tutto si giochi in un infinità di rimandi segnici, di linguaggi continuamente reinterpretati e rivissuti. La città, frutto di un processo storico e urbanistico preciso, si trasforma in uno spazio teatrale in cui ha luogo il dramma della modernità. Caratteristica del film è il minimalismo visuale che conduce la narrazione, attraverso il semplice apparire delle cose, la superficie del mondo e l’abolizione dei dialoghi esplicativi. Tuttavia l’opera non è solamente sguardo, ma anche indagine sullo sguardo e critica della visione, fino alla negazione del potere probatorio della testimonianza oculare, fino a sostenere la totale ambiguità del dato percepibile.
Alain Parroni