Note di regia di "Una Famiglia"
Questo film è stato ispirato da storie vere.
Esiste un mercato nero di bambini anche in Italia, come in molti paesi del cosiddetto Terzo Mondo, che si tiene in piedi grazie a una fortissima richiesta. Prova ne sono le numerose inchieste che si sono susseguite in questi ultimi anni dal Nord al Sud di Italia. Nel corso delle nostre ricerche, abbiamo avuto modo di ricevere spunti e suggerimenti dal Procuratore Raffaella Capasso, che ha seguito alcuni casi, quando era alla procura di Santa Maria Capua Vetere. Sincerità e discrezione sono alla base del mio approccio alla messa in scena: senza risultare invadente, volevo essere presente, sempre accanto a Maria. La macchina da presa è sempre presente in scena, fisicamente addosso ai protagonisti, operata interamente a mano e pronta ad accompagnarli nella loro performance.
Una macchina da presa che volerà via durante una scena cruciale e violenta, in modo da riflettere sulla nostra indifferenza, sul nostro essere ciechi e sordi al dolore che ci circonda, alla violenza che si consuma nell'appartamento accanto al quale viviamo. Il mio desiderio, in quel momento così delicato, era dare discrezione e pudore alla MDP, che in un’altra scena fondamentale si allontana per rispettare il dolore che prova una madre davanti alla salma della propria figlia. Ed è proprio per pudore che il corpicino della bambina e la sofferenza della madre non vengono mostrati. Abbiamo cercato di sintetizzare regia e fotografia, ad esempio attraverso la scelta di focali Macro, che ci hanno permesso di raccontare attraverso i dettagli la vita della protagonista. Ho cercato inoltre di fare un uso calibrato della musica, così da evitare inutili sottolineature, quell’enfasi che non appartiene al mio stile di regia, fatto soprattutto di sottrazione (ma senza rinunce). È una scelta ben precisa, un punto d’arrivo: mi sembra di poter dare, in questo modo, maggiore importanza alla narrazione, che rischierebbe di essere compromessa dall’esibizione forzata della MDP.
Era importante per me e per il mio DoP Piero Basso nonché Operatore, che si creasse una fusione tra noi osservatori e chi la storia la viveva dal di dentro. Il set è così diventato un mondo dove gli attori si muovevano liberamente. Io ed il DoP eravamo in costante contatto via radio durante le riprese e potevamo scegliere quello che al momento ci sembrava la prospettiva più interessante per la nostra indagine. Non volevamo raccontare la periferia romana, che per essere descritta richiede un rispetto e una abilità che spero un giorno di poter possedere. Volevamo raccontare una Roma più astratta, se vogliamo più mentale. Roma, altrove così realistica e persino carnale, nel nostro film è un luogo quasi metafisico.
Prendiamo per esempio il "viaggio" di Maria a Ostia: per me non era importante raccontare la "vera" Ostia, quella che anche recentemente è stata raccontata in modo così diretto e naturalistico, su tutti mi viene in mente Claudio Caligari con il suo ultimo film. Qui invece Ostia è sì riconoscibile ma rimane sullo sfondo, il mare dove Maria si perde con lo sguardo meditando forse una fuga impossibile non è il mare di Ostia, ma è "il" mare, come uno se lo immagina quando lo configura mentalmente. Stesso discorso per Roma. Abbiamo operato una stilizzazione della realtà che nella dimensione spaziale (ma anche in quella temporale) è particolarmente evidente. Solo nelle dinamiche tra i personaggi, e ancora di più, nei dialoghi, ci siamo attenuti a un realismo stretto, e il risultato di questo incontro - messa in scena anti naturalistica e scrittura mimetica - è a mio avviso uno dei punti di forza del film.
Sebastiano Riso