VENEZIA 74 - Sebastiano Riso e Micaela Ramazzotti
Dov'è nata l'idea della storia che racconti in "Una famiglia"?
“Le intercettazioni telefoniche, fornite dal procuratore Capasso, sono state una fonte indispensabile per poterci documentare, per capire come avviene in Italia questo tipo di mercato nero, questo traffico di bambini. Ma è stata soltanto una fase, perché se ci fossimo dovuti attenere a quel materiale i personaggi sarebbero risultati molto freddi.”
Cosa altro avete aggiunto in fase di sceneggiatura?
"Il film non è semplicemente un film sulle madri surrogate, ma il desiderio era quello di raccontare una coppia, legata da tutta una serie di dipendenze che nel corso del film si va separando. Il lavoro che abbiamo fatto, parlo al plurale perché lavoro a strettissimo contatto con gli sceneggiatori
Andrea Cedrone e Stefano Grasso, è stato un lavoro molto complesso. Quello che è importante per me dire è che il film non parla di madri surrogate e utero in affitto o di adozioni illegali. Il tema sono loro due: un rapporto morboso, un rapporto di dominazione che si alterna. Quello che abbiamo cercato di raccontare è il nostro paese e il tempo. Quanto sia difficili in Italia oggi diventare genitori.”
Come avete lavorato sul set?
“Il lavoro fatto con il direttore della fotografia, che è stato anche operatore,
Piero Basso, è stato di cercare di dare agli attori quanto più libertà possibile, costruendo intorno a loro un set e una scenografia a 360°.”
Micaela Ramazzotti, protagonista femminile, come ha costruito il personaggio di una madre, tra le tante che ha interpretato, dalle caratteristiche estreme?
“Queste madri le ho scelte, le ho volute, le rincorro. Più sono disperate, più sono disgraziate, più vengono da mondi subalterni e più le voglio fare. Mi sento portavoce di queste donne qui e ho voglia di approfondire queste donne. Ho voglia di difenderle, come se il cinema in qualche modo ti dia quella opportunità di difendere chi da solo non ci riesce.”
Riguardo Maria, protagonista del film, solo parole di tenerezza da parte dell'attrice.
“Questa è una madre che volevo fare a tutti i costi perché è una madre bambina, una madre che a malapena è madre di se stessa. Lei è schiava di un progetto che non ha deciso ma che comunque ha accettato. Ma allo stesso tempo, sin dalla prima scena in metropolitana, Maria sta meditando un progetto di ribellione, di emancipazione verso quel mondo. Si vuole ribellare da quel carcere.”
Come giudica un personaggio come Maria?
“Io sono sempre dalla parte di queste donne. A me non piacciono le eroine.”
Come ha lavorato, nuovamente, con Sebastiano Riso?
“Lui ha un entusiasmo verso di me che mi commuove. La sua forza mi dà forza. Il suo essere spericolato mi fa diventare spericolata. Questo ragazzo credo essere il regista più libero con il quale io abbia lavorato. Sono sempre stata la bambina dei grandi registi con cui ho lavorato, dei grandi maestri, e con lui mi sento una donna accanto a un giovane regista. Questo mi piace, mi sento accolta, mi sento guardata, mi sento amata. Sognavo da tempo di fare un film di questo tipo, con questo tono e questo sguardo. Lui ha colto una cosa di me, che io avevo voglia di portare al cinema: il mio lato primitivo. Per questo lo ringrazierò per sempre perché sentirsi selvaggi è la cosa migliore. Poi di solito gli attori hanno l'autostima un po' bassa, invece con Sebastiano l'autostima andava alle stelle. Mi caricava sempre tantissimo, facendomi sentire intelligentissima, bellissima, bravissima. Mi sentivo una bomba sul set. Ho anche pensato “caspita mi fa sentire come Meryl Streep” e poi tornavo a casa e dicevo “Mamma mia! Che scema che mi sono sentita Meryl Streep, non lo devo dire a nessuno.”
Elisa Pulcini04/09/2017, 16:06