Note di produzione di "'Na Wave"
”
‘Na Wave” nasce, come tante cose a Napoli e provincia, davanti ad un caffè tra Mariano Sisto e il sottoscritto preso verso ottobre-novembre del quasi lontano 2015. A quel caffè ne seguirono tanti altri (secondo il mio medico troppi) in compagnia di quello che poi sarebbe stato il regista, Salvatore de Chiara.
Di comune accordo, “‘Na Wave” muove dalla precisa volontà di raccontare la musica partenopea dal punto di vista giornalistico, una fotografia (che alcuni certamente troveranno parziale) della realtà musicale di cui sentiamo parlare oggi e, si spera, negli anni che verranno. Il confronto con quanto è stato già fatto dal punto di vista documentaristico – e non molti anni orsono – è giusto e immediato. Le differenze, però, sono sostanziali quanto quelle tra una fotografia e una cartolina.
L'analisi e l'immagine resa da “Passione” di John Turturro hanno l'incredibile pregio di raccontare Napoli attraverso la musica. Ciò che realmente ne viene fuori è una Napoli vista da lontano, con l'affetto di chi l'ha sempre vista da un binocolo, e l'attenzione si focalizza su alcuni aspetti anziché altri, con uno sguardo importante sulla Napoli del dopoguerra. Non rinnegando il nostro passato, ci è sembrato molto più giusto cercare di rendere un'immagine della città e della sua musica meno folkloristica, più reale e soprattutto più contemporanea. È pertanto giusto che siano i napoletani a raccontare Napoli, anche se, cosa curiosa, a raccontare meglio il centro sia spesso la sua provincia.
Giuseppe Pettinati
Credo che l’esigenza di raccontare sia un bisogno fortemente soggettivo. ”‘Na Wave” è un racconto, e come ogni narrazione nasce dalla voglia di esprimersi, di voler dire. La città, come palcoscenico imparziale, non ne sentiva forse un bisogno oggettivo, ma a lavori in corso ci siamo resi conto di come incidentalmente i tempi fossero maturi per immortalare l’istantanea della nostra scena musicale. Il merito – se ce n’è uno – non sta nel racconto in sé che, come dicevo, è magari puro egoismo, ma probabilmente nel tempismo. Napoli vive un fermento solido al punto da essere riconosciuto come tale. Chi lo anima sa di starne nutrendo una piccola parte. Il documentario prova a raccontarlo nel modo più esaustivo possibile – nei limiti di un lungometraggio – tenendolo in piedi nelle canoniche cinque W del giornalismo. Armati delle premesse intellettualmente più oneste, avremo comunque finito per raccontarlo con i nostri occhi, il che è un limite invalicabile. A garanzia del lavoro svolto, quindi, testimonia l’impegno, nonché l’ambizione dell’oggettività, che ogni membro della produzione ha profuso in questo progetto.
Mariano Sisto