FESTIVAL DEI POPOLI 58 - Intervista a Claudio Casazza
A distanza di un anno dalla vittoria del Premio del Pubblico con "Un altro me",
Claudio Casazza torna al Festival dei Popoli con "
L'ultima Popstar", documentario realizzato con Stefano Zoja e Carlo Prevosti, che segue per un'intera giornata i fedeli al seguito di Papa Francesco in occasione di una messa pubblica a Monza. Della realizzazione del film ce ne parla il regista.
Papa Francesco è il Pontefice dell'era dei social, e ormai siamo abituati a vederne l'immagine dovunque. Quando nasce l'idea di ribaltare il punto di vista, di fare parallasse e mostrare l'altra parte dello "spettacolo", i suoi "fan"?
Nasce cinque anni fa, quando la Giornata della Gioventù, cui prese parte Ratzinger, si tenne a Milano, praticamente sotto casa mia. Già li ci incuriosiva esplorare quel mondo, ma sapevamo che già un altro regista stava lavorando a qualcosa di simile. Chi sono queste persone, cosa fanno, che atmosfera c'è in questi casi, eravamo incuriositi dalla scoperta di un nuovo territorio. Questa volta, seppur con una settimana di anticipo, ci siamo organizzati e siamo andati in tre, anche se saremmo voluti essere di più visto che erano presenti un milione di fedeli, praticamente un cinquantesimo del Paese. C'era una bomba mediatica eccezionale attorno a questo Pontefice, addirittura c'era Rolling Stone che aveva fatto la copertina con Francesco e la scritta Rock Star, e ci siamo convinti che ci fosse materiale per un film. Si vociferava che il palco di Monza fosse dieci volte più grande di quello che davano a San Siro per Springsteen, quindi era un'occasione da cogliere.
La macchina da presa da pura osservatrice del reale si fa fedele tra i fedeli, senza essere mai invadente. Partendo dalla distanza finisci per diventare il vicino dell'anziana o del giovane di turno, e ad essere quasi accettato come uno di loro. Come si raggiunge questo step?
Amo molto l'osservazione, anche se penso che ogni film abbia delle caratteristiche sempre differenti, e non credo a quelli che dicono di fare sempre lo stesso film. Qui l'osservazione arriva alla fine, per una questione di tempo e per una distanza data dalla non conoscenza. Per un lavoro alla Wisemann ci vuole un po, almeno sei mesi, e qui avevamo un giorno. Alla fine entriamo nel mood di queste persone che aspettavano il Papa, il suo arrivo fa si che loro non avvertano più la telecamera, e non sentano più quella voglia di condividere tutto, che era la parte centrale del film.
In questi casi però è che la gente avverta la telecamera come quella del Tg3 di turno, cosa che non avviene questa volta...
Ma perchè abbiamo cercato di osservare e a poco a poco di entrare in dialogo, in una relazione. Di prendere questa loro voglia di condividere, senza prenderli in giro o giudicarli, ma sempre stando in relazione. Il Tg3 li avrebbe intervistati, noi gli siamo stati accanto, senza chiedere loro di fare qualcosa. Non era una messa in scena davanti alla telecamera, ma nell'evento, che era di per se una grande messa in scena. Laicizzando l'evento, è come se avessi un grande attore, in questo caso il Papa, ma anche gli altri attorno diventano attori, perchè la stessa macchina organizzatrice chiedeva loro di fare foto e condividere tutto con un ashtag. La cosa interessante, ragionando sui medium, è che a fare questo discorso fosse la radio, che è per natura unidirezionale, dove in genere uno parla e l'altro ascolta, ma che in questo caso ti chiedeva di condividere qualcosa. Chiedeva loro di diventare attori, e noi cercavamo di stare loro affianco. Nel finale poi tornano spettatori, o fedeli, di un personaggio che non decidiamo mai di inquadrare direttamente, ma che mostriamo nel modo in cui lo vedono loro, o attraverso i cellulari o dai maxischermi.
Ratzinger sembrava aver spento gli entusiasmi di molti fedeli, Francesco della rock star porta con se anche il saper andare contro, attaccando spesso il suo stesso sistema. Come ti spieghi questa canalizzazione d'amore?
Lo collego al discorso sui media, perchè nell'era dei social e della distanza sempre più prossima tra la gente, anche verso la persona più lontana, che dovresti vedere come riferimento ideale e spirituale, questa distanza è molto diminuita. Da un lato c'è un mondo che ci porta ad apparire come tutti più simili e meno distanti, guarda ad esempio ai selfie con i calciatori e, in questo caso con il Papa. Dall'altra parte lui stesso ricerca l'aiuto dei suoi fedeli, e queste due cose avvicinano questa distanza che c'è tra terra e cielo. Ad ogni intervento rimarca una vicinanza, a differenza delle encicliche di Ratzinger che erano pura teoria, importante per la religione, ma meno per il popolo. Il Manifesto arriva a considerarlo un comunista, ed è oggettivamente molto amato da tutti.
Per chiudere, vorrei fermarmi un istante sull'icona. In queste occasioni vengono stampati cappellini, magliette, adesivi e gadget di ogni stipo. Per quello che hai potuto osservare, a tuo avviso dove finisce l'industria della fede e dove inizia quella meramente commerciale?
L'industria della Chiesa è molto forte da sempre, ma nella fattispecie da un lato credo che sia marketing puro, dall'altra sia la volontà delle stesse persone di tenere dei ricordi. Fino a qualche anno fa i ricordi erano solo legati alla gadgettistica, oggi in più c'è il ricordo digitale, quello che dimostra che c'eri. C'è una sorta di necessità di avere qualcosa che attesti la tua presenza, anche se in questo caso si parla di fede, che dovresti avere già a prescindere da un feticcio acquistabile.16/10/2017, 10:05
Antonio Capellupo