Note di regia di "I’m, Infinita come lo Spazio"
L’idea di “I’m” mi è venuta in mente qualche anno fa, partendo da un evento a me molto vicino. Sono nata in Finlandia e sono cresciuta lì. Adesso vivo a Roma ma la mia famiglia è tornata a vivere in Finlandia, quindi ho un rapporto costante con la mia seconda patria. E, ovviamente sono rimasta colpita da alcuni eventi drammatici ed inspiegabili avvenuti lì negli ultimi anni.
Per raccontare questa storia, soprattutto per l’evento che caratterizza il climax, avrei potuto scegliere un genere e un tono realistici ma ho deciso, in questo film, di seguire profondamente la mia idea di Teatro e Cinema come “rappresentazione”, far deflagrare la realtà e ricostruirla come mito. E poiché in quel periodo stavo studiando il 3D per un personale interesse verso la tecnologia come mezzo nella ricerca dell’”immagine perfetta”, ho deciso di affrontare la sfida di un linguaggio cinematografico surreale per parlare del mio tema di riferimento: pregiudizio, emarginazione, spingere qualcuno ai bordi della società perché vissuto come diverso e quindi umiliarlo, può creare una reazione di inattesa violenza.
Poiché questa situazione è qualcosa che ho conosciuto molto bene nella mia vita, ho deciso di fare questo mestiere anche per dare voce a chi non si sente accettato, pur fino al punto di cominciare ad odiare il proprio prossimo. Tento di porre delle domande, non certo fornire risposte, a proposito di cosa potremmo fare per evitare il rapporto causa effetto tra l’emarginazione e la violenza, tentare di mettere uno spettatore nel punto di vista dei personaggi che lottano nelle mie storie.
Per questa ragione credo solo nel punto di vista soggettivo nel mettere in scena un FIlm, e in questo film più che mai il punto di vista è lo sguardo di qualcuno. Tutto avviene nel palcoscenico dell’inconscio della nostra protagonista, è il deposito della sua mente. E poichè lei per me rappresenta il nostro tempo, la nostra realtà umana, questo palcoscenico è il deposito della nostra storia recente. Ci si muove come nel mondo onirico e quindi non c’è esattamente una divisione tra una “realtà” e una “fantasia”, Jessica si muove tra personaggi che non cambiano mai d’abito, gli abiti non sono abiti ma veri e propri costumi di scena, persino gli oggetti e l’arredamento sono legati a degli archetipi, le stanze sono stanze di case per bambole. Dove vive lei è tutto immerso nella neve, dove stanno “gli altri” no. E’ un mondo di Lego, di giocattoli. Per questa ragione, come è espresso chiaramente nel romanzo che ho scritto e da cui Lorenzo d’Amico de Carvalho e io abbiamo scritto la sceneggiatura, la vicenda non poteva che essere ambientata in un “nowhere-notime” quasi una dimensione parallela non raccontata in un genere fantascientifico ma con un lievissimo spostamento, non immediatamente recepito, da tutto ciò che conosciamo.
Per i miei collaboratori e me è stata quindi una grossa sfida, abbiamo mescolato elementi delle varie decadi del secolo scorso, oggetti anni ‘50 e ‘70, cartoni animati anni ‘30, e ho collaborato con Peter Spilles, frontman della band tedesca Industrial Metal “Project Pitchfork” per avere una colonna sonora che fosse una specie di drammaturgia sonora parallela forte, legata ai sentimenti dei personaggi; le canzoni della Band sono le uniche canzoni che si sentono perché si tratta della Band preferita della protagonista quindi, nel “suo” mondo, non vi è altra musica che la sua, le persone che le girano intorno a volte si muovono come marionette senz’anima in piccole coreografie, tutto attorno a lei appareomologato, impersonale, qualcosa che lascia sempre fuori dalla porta lei e i personaggi che sembrano vivere il suo stesso destino.
Ma la pressione e l’isolamento portano alla fine Jessica e gli altri personaggi ad un punto per cui è chiaro che ognuno di loro avrebbe le ragioni per reagire male, fuori controllo, dato che non c’è niente di peggio che distruggere i sogni di qualcuno.
Anne-Riitta Ciccone