Note di regia di "La Mossa del Cavallo. C'era una Volta Vigata"
Alla fine dell’Ottocento la Sicilia era per l’Italia una sorta di Far West, una terra di nessuno, costellata di banditi, malfattori, gente abituata a farsi giustizia da sé. È con questo in mente che ho cominciato a pensare che il western fosse il genere più adatto per raccontare questa storia.
Il romanzo di Camilleri, “La mossa del cavallo”, è un film sulla connivenza che legava i governanti e i gendarmi dell’epoca ai potenti di allora, racconta di un’Italia divisa in due, sia politicamente che linguisticamente. Una storia, quindi, che riguarda da vicino l’Italia di oggi.
Per la sua particolarità mi è subito sembrato che una trasposizione lineare del romanzo ne potesse in qualche modo compromettere l’originalità. Aveva bisogno di una visione e di un punto di vista forte per essere raccontato.
Grazie alla scelta di trasformarla in un western in terra di Sicilia, questa storia si sottrae a tutte le trappole del film in costume, mettendo insieme recitazione, immagini, attori e scelte di regia che passano dal grottesco al realismo, dalla commedia al film di denuncia.
E così ho cominciato ad attingere al cinema di Sergio Leone, di Tarantino, al cinema americano e italiano degli anni Settanta. Mi sono divertito a mischiare i generi, perché il romanzo di Camilleri, pur essendo ambientato nel 1877, è scoppiettante di battute, grottesco, assurdo, strampalato e allo stesso tempo estremamente reale e attuale. Ed è per questo che ho pensato che bisognasse girarlo in modo moderno, con soluzioni che avvicinassero il protagonista, un uomo del nord che finisce in un mondo assurdo, costellato di follia e situazioni surreali, allo spettatore di oggi.
Gianluca Maria Tavarelli