DEI - Staccare le radici e correre verso la città
Opera prima, film, il racconto diventa lungo. E difficile.
Cosimo Terlizzi sceglie le sue memorie di adolescente, la spinta che lo portò dalla campagna verso la cultura e la città, verso un mondo che vedeva inarrivabile e degli amici che sembravan "
Dei".
Lungo e difficile dunque, da scrivere e da realizzare, con i personaggi molto scritti e le situazioni molto “girate”, imprigionate in una finta casualità che sa di video arte rurale, in un susseguirsi di gesti e parole costruite che allontanano come la forza centrifuga dalla naturalezza della vita.
Forse è la memoria, quella a cui ha attinto
Terlizzi, a finire per essere addolcita, sofisticata rendendo il film molto poco veritiero. E allora ogni scena, ogni inquadratura, ogni movimento di attori e macchina diventa indispensabile, formando dei quadretti pieni di roba, intensi e sazianti, ma indipendenti l’uno dall’altro. E il film non cresce, i personaggi non ci emozionano, le situazioni ci passano sopra senza prenderci, troppo montate, troppo artistiche.
Anche la malinconia del protagonista Martino (
Luigi Catani) sembra elaborata dalla memoria, ricordata dal sé adulto e non vissuta a 17 anni, mentre le radici e le tradizioni rappresentate dall’ulivo che viene sradicato sembrano metafora sin troppo esplicita, anche qui ricordata, trattata, scritta e girata.
18/06/2018, 10:46
Stefano Amadio