LA NOSTRA PIETRA - La dissacrante storia di Daniele Kihlgren
A bordo della sua moto Daniel Kihlgren si imbatte, alla fine degli anni ’90, in un piccolo paese medievale arroccato sulle montagne abruzzesi di nome Santo Stefano di Sessanio. Il suo cuore rimane subito stregato da questo desolato e incantevole borgo, superstite di un tempo passato che è riuscito ad uscire indenne dall’inarrestabile avanzata dei cambiamenti della modernità. Si spalanca così per Daniel l’opportunità di dar realizzazione ad una sua vecchia idea: restaurare un’antica cittadina medievale e trasformarla in un albergo diffuso. "
La Nostra Pietra", diretto da
Alessandro Soetjie, racconta il perseguimento di questo obiettivo da parte dell’eccentrico protagonista, il quale si muove tra le svariate avversità con indefettibile dedizione.
Il documentario si apre con l’immagine di Daniel nella sala di un ospedale e affisso sulla parete a destra si scorge un cartello che recita “Attesa”. Ognuno dei quattro capitoli in cui è suddivisa la pellicola (Stillness, Flux, Questions, Answers) ha inizio con una serie di fotogrammi che trasmettono la sensazione di calma, di attesa rilassata e contemplativa. Tutto ciò sembra essere un invito ad apprezzare la bellezza di un tempo che non insegue se stesso, ma che risalta per la capacità unica - e sempre più rara - di riprodursi uguale nel suo scorrere, senza alcuna affannosa ricerca di una nuova apparenza che non gli appartiene. Ciò si muove all’opposto di una società che protende dissennatamente al cambiamento come espressione del miglioramento, ricercandolo anche quando il passo avanti compiuto è in realtà ragione di svilimento della società stessa. Questa è anche una delle principali critiche mosse esplicitamente da Khilgren nei confronti di tutti gli esperti ingegneri ed architetti che nel restaurare antichi edifici li hanno esageratamente modernizzati, impoverendoli e privandoli della loro essenza. Con la sua opera si incammina nella direzione contraria, cercando di dar risalto a un tempo che si rende eterno grazie alla possibilità di rimanere se stesso, anziché snaturarlo, forzandolo in una contemporaneità che non gli si confà.
La figura sensibile, arguta e dalla battuta caustica di Daniel affascina, mentre i paesaggi e le riprese del paese seducono gli occhi dello spettatore. Una combo potente capace di far innamorare il pubblico di un progetto di cui era ignaro fino a poco prima. Il documentario risulta quindi forte abbastanza da sollevarci per un attimo dal costante e opprimente scorrere delle lancette, attraverso la possibilità di assaporare da un’altra prospettiva la vita materiale e immateriale in cui siamo immersi.
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Gabriele Nunziati"
25/08/2018, 15:37