VENEZIA 75 - "Il ragazzo più felice del mondo" secondo Gipi
Per chi sceglie di fare della narrazione un mestiere, non c'è cosa migliore di quando il caso ti mette dinnanzi ad una storia così incredibile da sembrare irreale.
Da quel momento non c'è lavoro o famiglia che tengano.
Ogni impegno è prorogato a data da destinarsi fino a quando quella storia non sarà partorita nella sua più totale pienezza. Anche a costo di farla diventare un'ossessione.
E' ciò che capita a
Gipi, massimo esponente del fumetto italiano, che a distanza di qualche anno da "Smettere di fumare fumando" posa la matita e riprende in mano la macchina da presa per raccontare con "
Il ragazzo più felice del mondo" una vicenda che prende spunto da qualcosa di realmente vissuto.
Correva l'anno 1997 e mentre l'allora semi-sconosciuto fumettista pisano collaborava con riviste erotiche e di satira, un giorno comparse una lettera di un ragazzino quindicenne che dimostrava tutta la propria ammirazione e chiedeva un disegno al suo fumettista preferito. Nulla di strano. Se non fosse che vent'anni dopo, scorrendo la bacheca Facebook di un collega autore di fumetti, l'attenzione di Gipi ricadde sulla stessa identica lettera, che in seguito a delle ricerche risultò essere l'opera di un "fan-seriale" che da anni, a tappeto, ha preso in giro tutto il mondo del fumetto.
Musica per le orecchie del narratore. Che infatti mette su una troupe con l'intento di girarci un documentario, destinato però ad esplodere e a ricostruirsi sotto una forma cinematografica ben diversa.
Fin dai primi lavori, Gipi ha avuto un solo credo, restare libero costi quel che costi. E così come per il tratto dei suoi fumetti, anche il modo di raccontare di questo film tanto piccolo quanto sentito, risulta completamente svincolato da qualsiasi schema tradizionale, mescolando le due anime dell'autore pisano, quella dolce e riflessiva e quella umoristica e scazzona.
Stando in equilibrio tra il giallo e il road-movie, il regista costruisce un racconto sul valore dell'amicizia (a Davide Barbafiera, Gero Arnone e Francesco Daniele, esordienti e decisamente bravi, "l'ingrato compito" di star dietro al maestro e alle sue follie produttive) che nel tempo si trasforma in un'interessante riflessione su quella sottile linea che separa la curiosità dall'ossessione, il narratore dallo sciacallo.
E allora quel cuore grande cucito a mano sulle divise rosa di produzione è forse l'immagine più esplicativa del film. Un film povero di mezzi ma con una voglia matta di divertire, emozionare, o, più semplicemente raccontare. E allora evviva i narratori dal cuore grande. Evviva Gipi.
01/09/2018, 21:00
Antonio Capellupo