Note di regia di "1938 Diversi (Le Leggi Razziali del Fascismo)"
Nel maggio 1940 per sfuggire alle leggi razziali fasciste i miei genitori riuscirono a lasciare Torino e l’Italia e a imbarcarsi sull’ultima nave passeggeri che andava in America.
Altrettanto motivato il produttore Roberto Levi che, rimasto in Italia con la famiglia, ha subìto le conseguenze delle leggi razziali fino ad una provvidenziale fuga in Svizzera.
Il film nasce dunque da un profondo bisogno di sapere, di capire e di far conoscere. Anche perché quegli eventi, seppur in modi diversi, tornano a ripetersi e a minacciare il nostro futuro.
Abbiamo il dovere di mobilitarci e cercare di impedirlo.
Sino al 1935 in Italia il razzismo quasi non esisteva e il fascismo, nel ventennio della sua dittatura, è riuscito a inoculare nella nostra società un virus che in forme sotterranee ha messo radici e continua a proliferare.
Con l’occasione dell’anniversario della Promulgazione delle leggi razziali, il film vuole dunque contribuire ad approfondire e a capire cosa sia successo. A riflettere su come siano nate, come siano state accolte e quali conseguenze abbiano avuto.
Con l’aiuto di storici di fama mondiale oltre che di accademici e di insigni esperti abbiamo cercato, con un linguaggio moderno e coinvolgente, di analizzare i fatti, dando rilievo anche a documenti e materiali d’archivio poco conosciuti e rari.
La voce ufficiale della “grande storia” si intreccia alla “microstoria” dei racconti personali di testimoni che hanno vinto blocchi emotivi per raccontare le loro esperienze e i loro ricordi.
Il film vuole infatti essere non solo un approfondimento storico e didattico, ma soprattutto un’occasione di coinvolgimento emotivo degli spettatori per stimolare una riflessione e una presa di coscienza.
Ricorrendo all’animazione, all’efficacia degli effetti digitali e alla sensibilità di noti attori che leggono le fredde disposizioni amministrative, i deliranti proclami e le strazianti pagine di diari ed epistolari, vogliamo che le parole diventino anche “immagine” ed emozione per toccare la sensibilità dello spettatore e fargli superare pregiudizi e indifferenza.
Non credo che sia solo un bisogno morale che mi spinga a voler raccontare il periodo delle leggi razziali, né la necessità “privata” di sapere come abbiano vissuto e cosa abbiano sofferto i miei parenti e correligionari, né una generica urgenza che se ne sappia di più, ma soprattutto la convinzione che con un linguaggio diretto si debba risvegliare l’interesse e la curiosità dei giovani e dei ragazzi.
Mai come ora la frase di Santayana “Chi non conosce il passato sarà destinato a riviverlo” ci deve essere di ammonimento.
Giorgio Treves