Note di regia di "Troppa Grazia"
Penso che nessuno sappia veramente perché nasce una storia. Alla fine credo sia giusto così. Forse non c’è un perché, forse c’è soltanto un come.
La prima volta che mi è “apparsa” Lucia è stato all’improvviso. L’ho vista passeggiare da sola, in un grande centro commerciale, senza motivo. Ma ho sentito subito un carattere, uno spirito indipendente, un po’ “selvatico”. Ho pensato che forse viveva in una cittadina di provincia. Forse Lucia aveva passato la sua infanzia su un bellissimo campo.
Mentre la seguivo, sentivo un peso dentro di lei, che aveva a che fare con il sentimento di un quotidiano senza fughe. Un peso che evidentemente era anche il mio, così forte che all’improvviso è successo l’impensabile: Lucia si gira ed ecco quella ragazza con il velo sul capo che la fissa e le dice, con la serietà di un’altra epoca: «Vai dagli uomini…». Lucia la guarda e, spaventata, le risponde (e io con lei): «Ma vacci tu…». E sono scoppiato a ridere. Non ci potevo credere. Ecco, onestamente è cominciata così. Con una risata.
Nell’attimo di quella risata si sono toccati degli estremi. Il sentimento improvviso e fuori luogo del Mistero, e la nostra vita che lo sfiora in modo anche banale: il mistero immobile e potente da una parte, e il “giorno per giorno” friabile e confuso dall’altra. Le domande profonde che sentiamo, le risposte scomposte e improvvisate che diamo e ancora di più quelle che evitiamo. La verità e la menzogna.
Troppa grazia si è presentato da subito come un film di estremi che si toccano e si scontrano. Ma lì per lì ero confuso, non riuscivo a capire come mai proprio io dovessi fare un film con la Madonna. Alla fine mi sono appuntato l’immagine, ho pensato che fosse bella e folle e sono passato ad altro.
Solo qualche anno dopo, sempre all’improvviso e senza un perché, sono ritornate le voci della Madonna che chiede «Sei andata dagli uomini?» e di Lucia che le risponde ansiosa «Senti io non vado dagli uomini, questo è un problema tuo, lo capisci?». E di nuovo mi sono messo a ridere. Ho cominciato a scrivere il film. Ma, devo essere sincero, non in modo del tutto consapevole. In una prima stesura quello che mi prendeva e mi faceva andare avanti giorno per giorno è che ridevo tantissimo. Avvertivo anche che, proprio per la sua eccentricità, questa storia poteva ancora diventare tante cose diverse: da una sit-com irriverente a una riflessione sul sentire religioso di oggi… Erano veramente troppe possibilità. A fare la differenza è stato che in poco tempo ero già cotto di Lucia, coinvolto con lei in un rapporto completamente empatico. Come fai a non voler bene a una che alla Madonna risponde «Ti ho già detto di no! Ma cosa fai, insisti come i bambini?». Mettendomi nei suoi panni mi sono chiesto: e se succedesse a me? Ma non in un film, proprio nella mia vita: io come reagirei? Queste domande hanno annullato ogni distanza tra me e lei ed è stato questo che, tra tante possibilità, ha portato alla fine il film a trovarne una sola. Come penso debba essere.
Questo non è, evidentemente, un film di tema religioso. Perché non è un film sulla capacità di credere in Dio oppure no. Ma è sulla capacità di Credere Ancora, nonostante il nostro non essere più bambini. Di sentire, di immaginare. La Madonna del film non è quella del racconto religioso, ma la “Madonna di Lucia”, semplicemente. L’espressione schizofrenica di quella capacità di credere che è propria dell’infanzia, che Lucia ha soffocato per tanto tempo e che torna da lei giustamente molto arrabbiata. per impedirle di disfarsi completamente della sua parte vivente. Ad apparirle non poteva essere nessun altro: ciò che ci affascina della Madonna – al di là dell’iconografia che ci arriva dall’infanzia – penso sia l’intransigenza. Uno sguardo che ha una nettezza d’altri tempi, e che dice a un presente tutto dedito ai compromessi: tu non sei tutto. Una “Madonna” che si fa portatrice di un implacabile e scomodissimo richiamo etico ed esistenziale, l’ultimo, che Lucia fa a sé stessa e alla sua vita: «Bisogna dire la verità Lucia, la vita è corta».
Per questo amo Lucia, perché non capisce ancora completamente ciò che le sta succedendo, perché anche se non se n’è ancora accorta e non può accorgersene perché lo sta vivendo, ha accettato di vivere la sua vita finalmente e fino in fondo e con tutto quello che comporta e costa. La fatica di ridare cittadinanza dentro di noi alla complessità dei sentimenti, al mistero imprevedibile del sentire quello che non c’è.
Gianni Zanasi