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FESTIVAL DEI POPOLI 59 - Intervista a Stefano Cattini


Il regista di "Pentcho", in concorso a Firenze, racconta il suo documentario in anteprima assoluta.


FESTIVAL DEI POPOLI 59 - Intervista a Stefano Cattini
Stefano Cattini
Come sei venuto in contatto con la comunità di cui parli?
La storia del Pentcho, peraltro già conosciuta tra gli appassionati di storia, mi è stata raccontata da Miroslava Ludvikova, una ricercatrice di Praga. Lei aveva, tra l’altro, ritrovato i diari scritti durante il viaggio da un giovane medico, che la famiglia credeva smarriti.
Per una serie di fatti e coincidenze, Miroslava aveva trovato i contatti di alcuni di loro, tra cui quello di Karl Farkash, l’uomo che in tutti questi anni si era impegnato per mantenere i fili e collezionare foto e memorie di tutti i passeggeri del Pentcho.

È stato complicato convincerli a raccontarsi?
La prima volta che abbiamo incontrato Karl è stato a Parma. Lui, come molti del Pentcho, aveva mantenuto vivo un legame, anche affettivo, con l’Italia.
Karl era accompagnato da un amico toscano. Avevano parcheggiato l’auto al mattino inserendo nel parchimetro l’equivalente di mezzora di sosta. L’intenzione di Karl era di dirci che aveva già raccontato tutto quello che poteva sul Pentcho e che avrebbe accettato di collaborare soltanto ad un progetto che avrebbe messo in primo piano i marinai italiani, a cui non erano ancora stati riconosciuti i gusti meriti.
Quando Karl e l’amico ci hanno lasciato era già buio. Si erano fermati tutta la giornata. Avevamo messo in tavola dell’ottimo pane, Malvasia e tortelli di erbetta, che avevano aiutato a scogliere le riserve. Karl aveva rinnovato la sua fiducia negli italiani, si era convinto che poteva collaborare, aprirci ai suoi contatti e donarci il suo archivio. Aveva anche capito che sarebbe stato necessario raccontare ancora una volta la storia del Pentcho se volevamo mettere in luce anche il gesto degli italiani.

Quanto hai lavorato sul documentario? Quali le difficoltà maggiori?
Le difficoltà sono state varie. Sul fronte produttivo, essendomi affidato ad altri, per me è stato difficile dover attendere un paio di anni prima di cominciare a girare. Dover scrivere progetti e trattamenti prima ancora di incontrare il materiale vivo della storia: persone e luoghi.
Un’altra difficoltà è stata quella di dover maneggiare una storia così ricca di episodi, che non lasciava grande spazio al silenzio, ai suoni, ai sentimenti, o a interessanti deviazioni dalla storia principale che avrebbero permesso di esplorare maggiormente il presente.
Va detto che non volevo fare un film prettamente storico, e nemmeno i produttori volevano che lo fosse.

Cosa hai imparato da questi incontri?
Ancora una volta ho imparato, solo durante il percorso, che film stavo facendo.
Ho capito di aver parlato di Shoah mostrando i buoni anziché i cattivi.
Ho capito ancora una volta che non si può semplicemente parlare di popoli, ma che vengono prima le persone, le storie e i sentimenti.
Ho visto, nel frattempo, segni sempre più chiari di un ritorno al fascismo in Italia e non volevo fare passare un messaggio buonista.
Poi, da Karl vorrei aver imparato a guardare soprattutto avanti. Quando gli chiedevo, “Karl, perché hai fatto questo o perché quello?” Mi rispondeva “Stefano, si deve fare qualche cosa!”.
La trovo una bella risposta.

06/11/2018, 08:32

Carlo Griseri