TFF36 - OVUNQUE PROTEGGIMI, tenerezza e rabbia
C'è tanta tenerezza in “
Ovunque proteggimi”, un film che
Bonifacio Angius gira con estremo rigore e Pau Castejón Úbeda fotografa con immagini nitide insistendo molto sul contrasto luce/ombra, freddo/caldo.
Tanta rabbia, tanto dolore, tanta solitudine, tanta ribellione, tanto spaesamento; ma alla resa dei conti ciò che resta addosso finita la visione è soprattutto un senso di fragile tenerezza.
Alessandro e Francesca sono due anime tormentate: lui, cantante cinquantenne che sbarca il lunario esibendosi senza successo alle feste di paese, vive con la madre e sfoga la sua insoddisfazione bevendo, facendo il bullo, giocando alle slot, sempre al limite dell'eccesso, che a volte supera ...; lei madre di un bambino che un ordinanza del tribunale le ha tolto, mandandola in una casa di cura. Sono due emarginati ribelli, non rassegnati, e il loro incontro fa scattare in entrambi la convinzione di essere più forti della realtà che li comprime.
Il film si snoda in tre parti che Angius delimita e caratterizza: l'iniziale oscurità in cui si dibatte Alessandro (scene notturne), l’intermedia staticità fuori dal tempo dell'ospedale in cui si incontrano (colori freddi, molti silenzi, gesti compassati), infine il viaggio-fuga verso un idealizzato futuro (esterni, sole, movimento).
Anche la colonna sonora segue questo ritmo: il canto di Alessandro e il suono-rumore di una discoteca della prima parte (con l’eccezione di un episodio musicale straniante che indica già un Alessandro perso in un mondo tutto suo) implodono nel silenzio della seconda, per sfogare anima e corpo in un tango (lo struggente ‘
Oblivion’ di Piazzolla) che apre romanticamente la fuga per chiuderla in un finale di commossa tensione.
Gli insistenti primi piani avvicinano ai due protagonisti anche grazie alla bravura di
Alessandro Gazale e Francesca Niedda, lui versatile e credibile in tutte le sfaccettature del suo personaggio, lei verace ed emozionante nel dare corpo e voce (occhi e parole smozzicate) alla ribellione fragile di Francesca.
Trasportati in un mondo ai confini della follia siamo anche spinti – come spettatori – a credere a una sorta di saggezza dell’irrazionale; poi ci ricrediamo, ritorniamo sui nostri pensieri, ma anche no. Insomma, non sappiamo (vogliamo/dobbiamo) giudicare le conseguenze di un finale un po’ folle ma sicuramente veniamo conquistati dalla lucida generosità del gesto.
26/11/2018, 08:00
Sara Galignano