TFF36 - RAGAZZI DI STADIO, 40 ANNI DOPO, ma sempre fedeli
Un finestrino rotto con una manata? Goliardia calcistica. Un leader carismatico? Quello che offende e basta. Urlare contro un "negro"? Nessun razzismo, solo uno sfottò. Pensieri e parole transgenerazionali, espressi con convinzione ed orgoglio da ultras di ieri e di oggi, accomunati da qualcosa che va ben oltre il semplice tifo.
Erano gli inizi degli anni '80 quando Daniele Segre scelse di raccontare gli albori di quel fenomeno che a Torino, così come in moltissime altre città, stava iniziando a prendere piede in modo massiccio. Con "
Ragazzi di stadio, 40 anni dopo" il regista piemontese torna a puntare lo sguardo sui gruppi organizzati, per analizzarne mutamenti e guardare dritto negli occhi ciò che a molti spaventa, ma che in pochi conoscono fino a fondo.
Se in passato il racconto coinvolgeva entrambe le sponde del tifo torinese, questa volta al centro dell'attenzione ci sono gli ultras della curva Sud juventina. Una lenta carrellata mostra gli sguardi fieri e arrabbiati dei più adulti "Fighters" e dei più giovani "Drughi", tutti accomunati da un fortissimo senso di appartenenza, pronti a difendersi l'un l'altro in nome di un credo per cui non è consentito guardare in faccia niente e nessuno, tranne i propri colori.
Pochi autori come Segre hanno saputo raccontare negli anni i mutamenti del nostro Paese con instancabile impegno politico e civile, e anche quest'ultimo lavoro, presentato in anteprima al TFF36, non fa eccezzione. Così attraverso immagini d'archivio e testimonianze dirette, appare la metamorfosi di un gruppo che partendo dai '70 più ideologicamente a sinistra, attraversando la solitudine e lo sbandamento degli '80 tra il ploriferare dell'eroina e del chiodo nero addosso, si trova oggi ad indossare una svastica al collo o a rispondere ai cori col saluto romano.
C'è chi sottolinea che solo in quella curva si tiene viva la memoria dei 39 tifosi morti nella strage dell'Heysel, mentre qualcun altro prepara una finta bara color granata per ricordare "goliardicamente" Superga, ma soprattutto c'è chi mette questa esperienza collettiva davanti a tutto, scuola, lavoro o famiglia che sia. Ciò che colpisce maggiormente è l'apparente disinteresse verso il calcio e i calciatori, non tanto da parte del regista, che fa una precisa scelta "di campo", quanto da parte degli stessi ultras, per cui in caso di sconfitta vale un "hanno perso", e di vittoria campeggia un "abbiamo vinto".
E' un universo con delle precise regole, in cui l'avversario diventa il nemico e la violenza è solo il piacere dello scontro, un branco in cui basta fiutarsi per riconoscersi fratelli e a cui non importa se per gli altri i propri modi possano risultare deplorevoli e condannabili. Perchè "gli altri" per loro non esistono.
27/11/2018, 23:04
Antonio Capellupo