Note di regia di "Amare Affondo"
Amare Affondo è un cortometraggio che nasce dalla voglia di raccontare la mentalità ancora chiusa dei piccoli borghi del sud Italia e la difficoltà, per chi nasce in queste terre, di affrontare le avversità e combattere il pregiudizio. Per descrivere la lotta e la voglia di riscatto di chi cresce in ambienti così ostili ho scelto il sentimento più comune al mondo, l’amore.
L’amore che racconto è un amore difficile che ancora non sa affermarsi, è l’amore omosessuale di due giovani spaventati, forse non ancora consapevoli della forza del loro sentimento.
Quasi come in un laboratorio, ho pensato di immergere i personaggi all’interno di un piccolo cosmo come quello della pesca, per poterli analizzare più da vicino. Ho raccontato la quotidianità di quel mondo, per poi mettere in risalto e descrivere la reazione dovuta a qualcosa di diverso che porta alla perdita dell’equilibrio.
L’intento era anche quello di creare una sorta di contrasto tra il mare calmo e l’episodio sconvolgente che si consuma sulla “Paranza Giacomo”.
Dal punto di vista registico ho utilizzato uno stile sporco ma, allo stesso tempo, ben curato per lasciare spazio ai silenzi e ai piani d’ascolto dei personaggi. Sono proprio i silenzi, in realtà, a raccontare l’essenza della storia, lasciando agli occhi dei protagonisti tutto il peso narrativo. È una storia che esprime tutta la crudezza cui può arrivare un essere umano, senza né filtri né sconti per nessuno. È una storia figlia del neorealismo e, anche per questo motivo, ho voluto che la lingua parlata dai personaggi fosse il dialetto autentico e spontaneo come quello calabrese. Tutto ciò che viene raccontato non è altro che una dura verità sotto le spoglie di una narrazione di fantasia.
Raccontare l’amore omosessuale è un’operazione rischiosa e delicata. Per farlo ho lasciato che la macchina a mano si muovesse, sinuosa, tra gli sguardi dei protagonisti, a volte sfiorandoli, portando sullo schermo tutta la purezza del sentimento. Ogni qual volta l’amore sembra avere la meglio e tutto procedeva per il verso giusto, le forze del male entrano in scena. È l’antagonista “Chicco” colui che ha il compito di remare contro e ristabilire le gerarchie guardando sempre il fratello “Giacomo” dall’alto in basso per dimostrargli la sua tirannia, interrompendo i pochi momenti d’amore.
Ho cercato di creare un mondo dove i personaggi potessero sempre compiere delle scelte durante il percorso che la paranza stessa percorre. Un percorso che va avanti, poi indietro, per poi finire perdendosi all’orizzonte con tanto dolore.
Ogni scelta porta con sé delle conseguenze. Proprio per questo motivo anche i personaggi, coma la stessa paranza, compiono un viaggio dentro sé stessi per ritrovarsi totalmente cambiati alla fine del proprio percorso, pronti a ristabilire nuove gerarchie di potere e di sottomissione.
Un aspetto fondamentale che ho deciso di approfondire, inoltre, è quello dello spazio. Volevo dare allo spettatore la possibilità di “salpare” insieme ai personaggi. Per questo motivo ho deciso di utilizzare tutti i luoghi possibili della paranza cercando di non far sembrare quella barca così piccola, ma far sì che sembrasse talmente grande, quasi immensa, per rappresentare al meglio anche lo smarrimento dei due ragazzi innamorati.
Matteo Russo