Note di regia di "American Tales"
“Storie Americane” è un piccolo film che – nel mondo del cinema breve odierno malato di estetica, budget eccessivi, opportunismo contenutistico e dimentico delle proprie origini di ricerca e sperimentazione – qualcuno liquiderà con un sorriso paternalistico e una pacca sulla spalla. I depositari della tecnica, i produttori inseguitori di finanziamenti regionali e i registi che si dedicano più ai diritti d’autore che ai doveri mi dovranno perdonare se non ho giocato al loro gioco: “Storie Americane” non è stato prodotto con nessuno dei vostri dogmi. Per prima cosa, nel bene e nel male, nessun attore che vedete in scena è attore di professione. Tutte le persone che trovate davanti e, per la verità, anche dietro alla macchina da presa sono piloti di aerei in addestramento che, tra un volo, un ritardo e le pianificazioni per le navigazioni del giorno successivo, hanno deciso di contribuire alla creazione di queste storie americane. Gli unici strumenti tecnici che avevamo a disposizione erano una macchina fotografica reflex con due sole ottiche e un treppiede portatile di manifattura cinese. Non avevamo né luci, né riflettori, né carrelli. L’unica cosa che avevamo era la luce naturale dell’Arizona, la sua alba rosa, il suo mezzogiorno cattivo, i suoi temporali e i suoi immensi tramonti. La troupe era composta da due persone: il sottoscritto come regista e suggeritore quando la memoria vacillava, ed Egon Klett in qualità di operatore e curatore della fotografia. Vista la rapidità con cui la luce del sole mutava in Arizona, ci potevamo permettere al massimo uno o due ciak per scena. Per il doppiaggio delle voci, realizzato tamponando pareti e finestre con coperte e cuscini nella mia stanza nelle residenze dei cadetti, ho utilizzato un normalissimo microfono registratore per interviste; mentre tutti gli altri suoni sono stati in parte registrati sul luogo delle riprese e, in buona parte, ricreati in studio in fase di editing e missaggio presso L’Arcangelo Recording Studio, dove mi sento sempre a casa. Il montaggio e la correzione del colore sono stati fatti da me, armato di amore, pazienza e di un computer portatile. Spesa totale? Poco più di trecento euro, a fronte di una media di cinquantamila euro a cortometraggio che si spendono oggi tra fondi pubblici e privati. Io sono felice di questa mia indipendenza, e dormo tranquillo nel sapere che sono rimasto fedele all'idea di cinema povero. Dormo tranquillo, ma poco.
Luca Zambianchi