Note di regia di "Marco Polo"
Durante gli anni del mio percorso di studente ho sempre considerato la scuola come un luogo familiare, a cui appartenere e non da cui fuggire (certo c’erano mattine in cui le interrogazioni andavano evitate, ma erano eccezioni che confermavano la regola). Questa familiarità con l’istituzione mi ha accompagnato sin da piccolo ma è stato negli anni dell’austero Liceo Classico Dante che ha manifestato la propria resilienza, dovendosi misurare con un ambiente che faceva della tradizione e della severità valori fondanti. Eppure eravamo in molti a considerare la scuola come un luogo da rendere più a nostra misura rispetto a quello che ci proponevano gli adulti ed era da quell’immagine idealizzata e un po’ vaga di scuola a nostra misura che nascevano non solo le occupazioni ma soprattutto le iniziative pomeridiane: il giornalino, i comitati studenteschi, le lezioni sugli anni Sessanta e quell’irrefrenabile voglia di appendere poster di cantanti e di film alle pareti delle aule, erano un modo per dire che là dentro noi volevamo starci bene, sentirci protagonisti e non comparse. Solo chi tra noi viveva la scuola al pomeriggio e lavorava coi professori dopo le lezioni del mattino sapeva che al suono dell’ultima campana si sarebbe realizzato uno strano incantesimo: nella scuola del pomeriggio cadevano infatti tutte le maschere dei ruoli e si poteva dialogare coi professori e apprendere da loro in maniera più libera e spontanea. Tutto questo per dire che la scelta di realizzare un documentario sulla scuola di oggi è stata sin dal primo istante istintiva e naturale per il rapporto di profonda familiarità e gratitudine che ancora nutro verso la scuola pubblica ma anche per sottolineare un aspetto non secondario nella genesi e nello sviluppo di questo documentario. Sin dalle prime settimane in cui sono entrato dentro all’Istituto Tecnico per il Turismo “Marco Polo” di Firenze, osservando la cura con cui aule e spazi comuni erano stati resi familiari a tutti, ho avuto la sensazione di essere in un contesto che adulti e ragazzi avevano trasformato assieme in una casa per ognuno, di essere capitato insomma in una strana scuola in cui sembrava sempre che fosse pomeriggio anche quando invece era mattina.