Note di regia di "The Whiteness of a Child's Mind and Death"
Il film rappresenta visivamente un monologo interiore, uno svolgimento di pensieri, stati d’animo, sensazioni ed emozioni nella mente turbata di un bambino alle prese con la scoperta, per la prima volta nella sua esistenza, della morte.
La morte è intesa qui sia come fatto certo dell’esistenza umana, sia come paura che essa trasmette e angoscia che essa genera nell’animo delle persone, soprattutto quelle più sensibili o innocenti.
Il montaggio costruisce questo processo di trauma e tormento psichico ma lascia aperto anche ad altre interpretazioni, come ad esempio: il bimbo potrebbe elaborare un lutto di una persona cara, oppure lui potrebbe essere vicino alla propria morte, o essere costretto suo malgrado ad affrontare nell’immediato e in modo inatteso la paura di morire, oppure altre spiegazioni, da quelle più filosofiche e psicologiche a quelle più metafisiche (ad esempio: cosa accade all’anima dopo la morte, per chi ha fede), ecc. .
In ogni caso, la chiave tematica di quest’opera è incentrata sul rapporto tra l’idea della morte e l’innocente sguardo sul mondo che ha un bambino, un impatto che travolge e sconvolge a livello inconscio (per sempre e in negativo) la sua psiche, ma anche l’interiorità di un individuo in generale, mettendone a rischio sereni sviluppi, e compromettendone equilibri, forze ed espressioni, fino al punto estremo di alienare o di mal relazionare l’individuo verso molti aspetti della propria psiche e della realtà circostante.
Questa soggettiva percezione della morte condiziona tutta la nostra esistenza.
Inquietante in questo senso è ciò che l’individuo vede rovinare e perdere in sé, a cominciare dalla più basilare, la propria innocenza di spirito e ciò che di buono essa comporta.
Inoltre, nella pellicola, la morte diventa anche qualcos’altro, diventa anche sinonimo di tutto ciò che caratterizza i limiti della vera natura dell’essere umano e la sua finitudine: e cioè imperfezione, incompletezza, vulnerabilità, impotenza; oltre che sinonimo dell’illusione di un’utilità permanente delle nostre temporanee esistenze, se vengono confrontate con l’eternità o con l’oblio della fine dei tempi.
Davanti alla morte e alla sua accettazione (con o senza l’aiuto della fede in Dio), il bambino qui protagonista, è costretto a sperimentare il devastante senso di precarietà del tutto, sia fuori che dentro di lui, e a fare i conti con le conseguenze della propria limitatezza, che lo lascerà sempre e comunque in una frustrante condizione di smarrimento e sospensione psicologica ed esistenziale.
Il film rappresenta visivamente queste esperienze e, col suo carico allegorico ed evocativo, tenta di arrivare a stimolare la vena interpretativa e intuitiva dello spettatore, a sua volta lasciato libero con la sua intelligenza, cultura, sensibilità, di interpretare a suo gusto gli aperti piani di lettura metaforica dell’opera.
Un’opera sperimentale, un’esperienza sensoriale, un viaggio introspettivo fondato sulla forza affascinante ed esclusiva del montaggio cinematografico, qui utilizzato in funzione prettamente allegorica, simbolica ed evocativa, mediante un espressivo abbinamento di immagini e musiche.
Vi è quindi nel film una precisa composizione figurativa, un’astrazione della rappresentazione delle cose reali che si compie attraverso concetti figurati.
L’astrattezza allegorica di tutte le scene (a livello singolo ma anche legate tra loro) si basa sulle teorie dell’uso del Montaggio in maniera Analogica del regista Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, rielaborate qui in uno stile “radicale” e personale. Immagini e scene sono montate secondo una logica non-narrativa che privilegia concatenamenti metaforici, assonanze e accordi interni, e che avanza soprattutto per giustapposizione delle inquadrature e per associazioni di idee atte a definire, intellettualmente ed emotivamente, i vari concetti che si sono voluti esprimere.
Antonio Montefalcone