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L'IMMORTALE - Ciro viaggia e porta con se tutta Gomorra


Esce giovedì 5 con Vision il debutto alla regia di Marco D'Amore, il famigerato Ciro Di Marzio della serie Gomorra. Il film è un ponte tra la quarta serie e la quinta in preparazione. Quelli che sembrano sconvolgimenti epocali non cambiano la direzione del plot malgrado l'ambientazione lontana dall'Italia. Oltre a Marco D'Amore, nel cast Salvatore D'Onofrio, Marianna Robustelli, Martina Attanasio


L'IMMORTALE - Ciro viaggia e porta con se tutta Gomorra
Marianna Robustelli e Marco D'Amore
Ma quanto è fastidioso questo moralismo dei camorristi di Gomorra? Quanta retorica dietro alla famiglia, ai figli, agli amici, a questi princìpi basici che, bloccando le possibilità di libera scelta, ti chiudono dentro a un pensiero, a un quartiere, a una città.

Ed è lì che si rinchiude Ciro, dopo esser andato in esilio, allontanato dai boss di Napoli per evitare di confondere ulteriormente la situazione. Si chiude in se stesso e si mette alla finestra con lo sguardo fisso e gli occhi annebbiati dal moralismo che alimenta la voglia di vendetta e di presunta giustizia, tipica di chi pensa sempre di stare dalla parte del giusto.

Ma il giusto non sta di certo dalla parte sua, di chi tratta quintali di droga e uccide quotidianamente senza scrupoli chiunque non la pensi come lui. Ed è qui la differenza tra "L’Immortale" e un film che racconta il male, come Scarface o Gomorra di Garrone, ma anche serie come I Soprano’s o Narcos. La differenza è che in queste opere è chiaro, anche se facciamo il tifo per loro, che i cattivi sono cattivi e stanno sbagliando, e dunque possono diventare degli idoli cinematografici ma non dei punti di riferimento per la vita delle persone.

Nel film "L’Immortale", come nelle ultime serie di Gomorra, questo confine è sempre più labile. Sono assenti lo Stato e la Polizia, sono scomparse le persone perbene ed è sparita anche la moralità, sopraffatta, nel racconto, dal fumoso moralismo.

Malgrado il film di D’Amore sia girato bene possedendo un appeal di tutto rispetto, è il messaggio che traspare ad essere assolutamente discutibile. E questo messaggio non è solo sbagliato ma usato in modo strumentale per semplificare le cose, evitando di complicarsi la vita in fase di scrittura, dovendo creare personaggi complessi, dialoghi sensati e un conflitto tra veri cattivi e veri buoni. Sono tutti cattivi e buoni ma nel loro elementare microcosmo artificiale, dove si muovono a seconda delle esigenze di sceneggiatura, diventando immagine e strumento del male ma anche figure di un bene che sta da una sola parte, la loro.

La polizia non arriva mai, nessuna divisa si vede all’orizzonte, quei pochi agenti che vediamo sono corrotti. Nella realtà non è così, ma far uccidere un poliziotto da Ciro, o da uno dei suoi accoliti, lo farebbe subito scivolare dalla parte del male (quello vero), mentre se ammazza 18 scagnozzi lituani a pistolettate in faccia in fondo fa bene e chissenefrega.

"L’Immortale" è, in certi momenti, divertente, rimanendo però troppo stretto intorno a un personaggio principale senza respiro e alle sue sempre celate necessità. Crediamo di sapere cosa vuole o in cosa crede Ciro ma in realtà lo ignoriamo, finendo per farci ognuno la propria morale che sulla base dei pochi e semplici elementi dati, diventa moralismo.

03/12/2019, 18:33

Stefano Amadio