L’APPRENDISTATO - Il richiamo della montagna
Luca è un quattordicenne che vive in montagna, si occupa di pascolare pecore e capre di famiglia, munge le vacche e cura la preparazione del formaggio, controlla la stalla con i buoi. Abituato sin da piccolo a vivere all’aperto, percorrendo i pascoli alpini insieme al bestiame, conosce la natura e la ama come solo chi ci vive a contatto giornalmente sa fare.
Il povero ragazzo viene catapultato in una struttura rigida e formale quale l’Istituto
Alberghiero Mellerio Rosmini di Domodossola, con l’obiettivo di fare di lui un cameriere.
Il film ci racconta la sua vita all’interno di un convitto nel quale vivono per cinque anni i ragazzi che ambiscono ad intraprendere la carriera nel settore alberghiero e della ristorazione, imparando le basi dell’arte del servire: portare un vassoio, apparecchiare, prendere l’ordine, fare cocktail, caffè, cucinare.
Luca però, non è abituato a parlare e a relazionarsi con gli altri, a causa del suo vivere perennemente a contatto più con le bestie che con gli umani, non riesce ad essere il perfetto cameriere che i suoi rigidi istruttori vorrebbero. Intanto si annoia mortalmente: bicchieri, posate, tovaglioli non fanno parte dei suoi interessi e spesso rimane imbambolato a guardare le chiome degli alberi o i prati fuori dalla finestra.
Difficilmente riesce a rimanere fermo più di un minuto, freme, scalpita, vorrebbe scappare con tutte le sue forze. Invece Luca resta, resiste e con immensa fatica tenta di adeguarsi a ciò che i professori e la sua famiglia si aspettano da lui in quel percorso di formazione professionale. Fa tenerezza quando lo redarguiscono per via della sua stupenda e folta capigliatura indomita come lui, oppure quando con tanta timidezza, con parole semplici e con difficoltà di linguaggio ma con grande intensità, tenta di far capire ai suoi professori, il punto di vista di chi va a caccia, spiegando come anche un cacciatore in realtà, ama la natura.
Davide Maldi ha ideato e scritto il soggetto con la collaborazione della regista e sceneggiatrice
Micol Roubini, insieme hanno cercato di delineare il trauma: avere un lavoro sicuro in un bar o in un ristorante, ben sapendo che questo comporta la lenta uccisione del suo vero io. L’apprendistato sarà la morte dell’anima, oppure la futura opportunità di vita?
L’autore ha vissuto un intero anno scolastico all’interno dell’ottocentesco istituto Rosmini, per integrarsi il più possibile nella della classe in modo da rendere i ragazzi il più possibile autentici e disinvolti durante le riprese, spiegando: “Ho filmato da solo, gestendo la parte tecnica e organizzativa in solitaria per non invadere troppo la vita scolastica e il normale corso delle cose. Il film è girato a cavalletto e con ottiche cinematografiche fisse degli anni ‘50 per cercare di restituire lo stesso rigore estetico trasmesso dalla scuola”.
29/02/2020, 10:00
Silvia Amadio