CINEMA, DOMANI - Gianfranco Pannone, regista documentarista
Nuovo appuntamento con l'inchiesta di Cinemaitaliano che esplora, attraverso le parole di diversi operatori della filiera cinematografica, i possibili scenari che potrebbero coinvolgere il mondo del cinema in Italia una volta superata l'emergenza Covid-19.
Abbiamo intervistato
Gianfranco Pannone, regista e documentarista per capire se, e come, questo momento storico sarà raccontato per immagini dal nostro cinema, e quali spazi resteranno per gli autori indipendenti.
Sei uno dei più importanti autori del cinema del reale, e in più di un'occasione hai saputo leggere e analizzare attraverso i tuoi film alcuni periodi della nostra storia, passata e recente. Credi che in futuro il miglior linguaggio per raccontare tutto questo possa essere proprio quello del documentario, e al di là di ipotizzabili "instant movies", quanto tempo ci vorrà per digerire e poi raccontare tutto con intelligenza?
Non credo che quello del documentario rappresenti necessariamente il linguaggio migliore per raccontare questo drammatico momento storico, così come altre realtà; e diffido un po' degli "istant movies", che sono troppo ancorati al qui e ora. Il cinema, in tutte le sue forme, ha bisogno di respiro, così come anche il grande giornalismo. L'impatto immediato non è sempre un bene e comunque io preferisco tornare dopo sui fatti, come decisi di muovermi, per esempio, con un gruppo di allievi di cinema dieci anni fa sul terremoto de L'Aquila. Ma torniamo al linguaggio migliore. Per me vengono anzitutto il talento di chi realizza un film, una grande consapevolezza degli strumenti della comunicazione e la conoscenza del contesto in cui ci si muove. Se poi l'opera è di finzione o di taglio documentaristico (ma accetto sempre meno queste categorie se non con l'intento di utilizzarle per spiegarmi meglio sul piano teorico) fa lo stesso. Insomma, esistono prima di tutto i film buoni e cattivi. Spesso accade che per cogliere il momento taluni registi e giornalisti scelgano lo sguardo documentario, illudendosi di poter lavorare sulla velocità lavorativa e sull'immediatezza, magari sbarazzandosi dei filtri e legacci che impone la macchina cinema. I risultati sono perlopiù mediocri, perché il lavoro del documentarista creativo ha bisogno di una linfa diversa, che nasce anche grazie al fattore tempo, proprio come per un film di finzione. Non è importante che tu veda, ma che tu sappia e desideri vedere in modo più profondo. Solo così sì riesce ad andare oltre una prima impressione del mondo; fermo restando che si "ruba" anche dalla realtà e che si possono fare cose belle anche in questi giorni di emergenza. Ma senza un filo rosso e senza una visione d'insieme, qualunque film finisce con l'avere il fiato corto. Tornando ai nostri giorni, è giusto che qualcuno si preoccupi di indagare sul qui e ora, ma credo che sarà più interessante tornare sull'eroismo dei medici e degli infermieri o sulla solitudine di Papa Francesco in Piazza San Pietro, aspettando un po. Forse solo la forma diaristica può restituire qualcosa di più profondo quando l'impatto è a caldo, ma comunque resta che l'immediatezza, il cercarla come soluzione di sicura efficacia, finisce quasi sempre col mostrare la corda.
In seguito all'inevitabile blocco delle produzioni legate al mondo dello spettacolo e dell'intrattenimento, e al rinvio delle uscite di film e dei festival, come pensi che sarà ridisegnata la "geografia cinematografica" nel nostro Paese, e soprattutto ci sarà ancora spazio per i piccoli e per gli indipendenti?
Sono dell'idea che questa crisi - per me morale oltre che di sistema e comunque cominciata già prima del coronavirus - possa rappresentare una grande opportunità anche per il comparto cinema. E' un po' come sta accadendo con il mondo del calcio, che oggi mette in discussione gli ingaggi milionari dei giocatori-star, e che io auspico (da tifoso so di non essere il solo) si preoccupi di mettere qualche fila più dietro il circo mediatico a favore del bel gioco. Ecco, la vedo un po' così anche per il cinema e la televisione, che troppo spesso da noi sottostanno, per così dire, a leggi di ingaggio non scritte. Certo, chi fa cinema e incassa, chi fa tv e ottiene buona audience, è giusto che venga premiato, che piaccia o no fa parte dell'economia di mercato; ma la regola per cui la quantità sia più importante della qualità in questo passaggio che si annuncia epocale, può anche essere messa in discussione. E' un discorso che investe un'ecologia del vivere, dove i consumi non potranno più dettar legge da soli. Io, che vengo dal documentario di creazione, dai film a basso costo, posso testimoniare che tanti film - e non mi riferisco solo al "cinema del reale" - possano essere realizzati con costi relativamente più bassi rispetto a quelli abituali. Beninteso, non sono un pasdaran del pauperismo, ma certo il cinema, un certo cinema, può anche fare a meno di ingenti risorse economiche, come del resto ci hanno insegnato per anni Roberto Rossellini e Cesare Zavattini. Il grande Za già negli anni 50 sognava che un giorno avrebbe potuto fare un film con una troupe di 4-5 persone. Ecco, quel sogno oggi è possibile, magari con qualche figura professionale in più. Eric Romher realizzava i suoi "film da camera" con 15-20 persone e in Provenza il mio amico Paul Vecchiali a 85 anni fa i suoi film con budget addirittura non superiori ai centomila euro. Certo, sono consapevole che non tutti i film si possano fare a un costo più basso, così come rispetto l'importanza delle maestranze, che quando servono servono, ma c'è una parte di cinema che, oggi e domani più di ieri, può sfidare un mercato a rischio di asfissia e che dovrà necessariamente reiventarsi per sopravvivere nel mondo che verrà.
Che spettatori saremo dopo questo periodo? Avremo ancora voglia di grande schermo, o il telecomando e il mouse del pc saranno ormai le nostre chiavi preferite per accedere al mondo del cinema?
Mi auguro con tutto il cuore che il grande schermo torni ad essere importante, ma sono consapevole del fatto che già abbiamo perso gran parte dei ragazzi. Mia figlia, che di anni ne ha 18, mi dice spesso che il film preferisce vederselo a casa (sul computer tra l'altro) piuttosto che al cinema. E di sicuro questo stop forzato avrà un'influenza non da poco, quando tutto si spera tornerà normale, sui giovani come su parte del pubblico più agé. L'effetto Netflix e Amazon avrà un peso sempre più importante per il mercato audiovisivo. E se questo porterà un numero maggiore di persone a vedere i nostri film, oltre che a trovare nuovi fonti di approvvigionamento economico, allora ben venga. Credo, però, che non solo l'audiovisivo debba diventare materia obbligatoria nelle scuole, ma che i ragazzi, magari i sabato mattina invece di stare in aula, debbano essere messi nelle condizioni di vedere un certo numero di film nella sala cinematografica. Un sogno? Secondo me si può fare. D'altro canto dobbiamo preoccuparci dei nostri figli, certo, trovando anzitutto una via d'uscita da quella che si preannuncia come una lunga crisi economica, che investe responsabilità non solo pratiche ma di natura etica, ma senza mai dimenticare il ruolo educativo della scuola pubblica e l'importanza dell'audiovisivo. Se c'è una cosa che ci ha insegnato il mondo al tempo del coronavirus, è che, oltre a mettere in crisi il nostro prometeismo novecentesco, abbiamo compreso quanto sia importante la cosa pubblica. Lo stiamo vedendo con gli ospedali, che sono patrimonio della collettività, proprio come la scuola. Questa si chiama democrazia e siamo tutti chiamati a preoccuparcene di più.29/03/2020, 13:03
Antonio Capellupo