Note di regia di "L'Oro di Famiglia"
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L'Oro di Famiglia" nasce da un'esigenza: raccontare il legame viscerale che attanaglia l'uomo alle proprie origini e al proprio passato. Perché cambiano i tempi, le persone crescono, si frantumano i luoghi, ma la nostalgia verso ciò che si è stati e verso la propria famiglia non ci abbandona: è una maledizione a cui siamo condannati tutti.
Il protagonista vive un tormento personale: galleggia nella speranza che un ricordo offuscato dal tempo possa ritornare vivido tramite delle semplici foto.
Eppure il mondo della fotografia è cambiato radicalmente negli ultimi cinquant’anni: il digitale ha spodestato l’analogico con la radicalità di uno tsunami. Nel mondo si scattano ogni anno 2,5 trilioni di immagini: milioni di milioni di scatti che, nella maggior parte dei casi, rimangono confinati in supporti digitali e vengono visualizzati per lo più su dispositivi elettronici. Solo una percentuale minuscola di quelle immagini viene stampata e conservata come si faceva con le foto analogiche. Io amo chiamare le fotografie stampate “memorie tangibili”, perché la fotografia va anche toccata e ascoltata: va vissuta.
La necessità del protagonista è quella di vivere di nuovo un momento legato al proprio passato. È un impulso che lo spinge a deviare i suoi passi per rimettere a posto quel che di più prezioso possa avere un nucleo familiare: i ricordi. Quegli stessi ricordi che non possono essere rubati.
Lo stile di regia scaturisce dal desiderio di entrare il più possibile dentro la storia: la macchina da presa si trasforma così in un ulteriore attore che sconfina all'interno dei luoghi calpestati dal protagonista. E tuttavia si tratta di uno sguardo volutamente impreciso. Ho infatti cercato di lavorare sull'imprevedibilità delle scelte prese di volta in volta dal personaggio. È per questo che la macchina spia, ma non anticipa mai i movimenti del protagonista: si limita ad aspettare le sue decisioni.
Emanuele Pisano