Note di regia di "Easy Living"
Siamo cresciuti passando le vacanze estive a Mentone, sul confine tra la Francia e l’Italia.
Un confine che all’epoca quasi non esisteva.
Durante la nostra infanzia, la fatiscente struttura metallica anni ‘70 della frontiera rimaneva lì, abbandonata, a pochi passi dal mare, ad arrugginirsi nella salsedine. Dopo il liceo, ci siamo entrambi trasferiti negli Stati Uniti per continuare gli studi. Per qualche anno non siamo più andati a Mentone. Quando ci siamo ritornati, abbiamo subito notato una grossa differenza. Nel periodo della nostra assenza, le crescenti tensioni causate dal terrorismo internazionale, unite a una politica europea basata spesso su interessi nazionali, avevano fatto entrare la Francia e l’Italia in uno stato di grande agitazione.
La prima conseguenza riguardava proprio la frontiera.
Quell’edificio di confine, rimasto deserto per anni, era tornato alla ribalta, più splendente che mai: esercito francese da una parte, esercito italiano dall’altra, camionette dei militari, perquisizioni.
Ventimiglia si è lentamente trasformata in un luogo di attesa e di tensione. Migliaia di migranti hanno cominciato a concentrarsi lì, bloccati, alcuni anche per mesi, nella speranza di riuscire ad arrivare in Francia.
Quest’atmosfera di sospensione si è piano piano trasformata in normalità e le dinamiche quotidiane di frontiera (come la differenza di prezzo di medicine, benzina, alcol e sigarette) vi si sono gradualmente adattate. Aver vissuto in prima persona il cambiamento di un luogo che conosciamo tanto bene, ci ha fatto venire voglia di raccontarlo in un film.
Ma, ci siamo chiesti, un film che tratta di argomenti così gravi, urgenti e drammatici, dev’essere per forza una tragedia?
Il mondo di questo film èun misto tra i nostri ricordi e la realtàdi oggi e per rappresentare al meglio questa visione abbiamo chiesto al nostro fratellino James di interpretare la parte di Brando. Brando è la lente un po’ ingenua, spontanea, innocente, attraverso la quale viene filtrata la trama della storia. Abbiamo notato spesso, in questi anni carichi di conflitti ideologici, come i film che trattano l’argomento dell’immigrazione clandestina siano quasi sempre intrisi di dramma, tragedia, accuse e sensi di colpa. Indubbiamente, tutto questo può essere utile a rappresentare il dolore e la difficoltànella quale versano queste vite. Non sempre però, secondo noi, giocare sui sensi di colpa di chi guarda, aiuta a creare empatia.
Anzi, spesso finisce per allontanare il pubblico dal soggetto. Nel nostro film, abbiamo provato ad approcciare il tema dell’immigrazione in maniera leggermente diversa. Abbiamo creato il personaggio di un migrante, ma con l’intenzione che non facesse semplicemente pena. L’abbiamo reso figo, l’abbiamo chiamato Elvis Presley e l’abbiamo fatto andare in giro con occhiali da sole e camicia hawaiana. Così che agli occhi di un ragazzino non suscitasse solo compassione, ma anche ammirazione. In questa storia, personaggi con vite, età, background e problemi molto diversi tra loro si ritrovano ad avere un obbiettivo comune: Aiutare un immigrato clandestino a varcare il confine. Non per beneficenza, ma per amicizia.
Orso Miyakawa, Peter Miyakawa