Note di regia di "Fortuna"
Un sogno ispirato alla realtà
Partire dalla realtà è una delle prerogative del fare Cinema, ma anche uno scoglio contro cui si abbatte, prepotente, l’onda della mimesi come unica forma possibile di racconto. Dinanzi a uno dei più sconvolgenti eventi di cronaca italiana, la narrazione è a un bivio: la ricostruzione giornalistica, con gli imputati al banco e le vittime da compiangere, o la completa reinterpretazione dei fatti. Percepire che un evento così indicibile e nefasto, impossibile da mostrare nella sua escalation di barbarie, avesse bisogno, non di una rappresentazione, ma di uno sguardo disinteressato all’inchiesta e posato sulle labbra di chi quella vicenda non ha potuto raccontarla, ci ha costretto a imboccare la strada più tortuosa: quella del Cinema come riscatto della realtà, nell’immersione catartica dei sentimenti. La sinestesia è un concetto caro all’arte. E il Cinema, che all’arte ha strappato il settimo posto, ne ha ereditato i proponimenti.
La via del racconto non si è fermata al volto della protagonista, ma si è addentrata nei suoi occhi, nella sua testa, il suo corpo, il suo sentire. Immaginare che lo spettatore potesse provare gli stessi sentimenti di Fortuna è stata l’ambizione che ha guidato me e Massimiliano Virgilio nel leggere l’inferno imprigionato in questa storia. Non solo il tragico caso di una bambina di sei anni, scaraventata dall’ultimo piano del suo palazzo dopo ripetuti abusi, ma l’esegesi di un tradimento. Del desiderio di tutti i bambini di essere amati, tradito dagli adulti. Un desiderio che riaffiora nella mente di chiunque, a tutte le età, in ogni angolo della Terra. Fortuna non è stata tradita da una sola persona, ma dal mondo intero che la circondava. Un universo difficilmente circoscrivibile a Parco Verde, ma in agguato ovunque, purtroppo. Un tradimento atroce, paragonabile solo a quello inferto da chi ci ha dato la vita: il tradimento della madre. L’adesione a questo sentimento non ci ha consentito di rappresentare i veri personaggi della vicenda, che nella realtà hanno incarnato altri ruoli e pensieri - a cominciare dalla vera madre di Fortuna, che qui non è stata affatto rappresentata - ma di estrarre il seme dal frutto e reimpiantarlo in un terreno nuovo, fertile, foriero di immagini e emozioni.
Nel rispetto della verità giudiziaria, Fortuna è divenuta una principessa di un pianeta lontano chiamato Tabbis, che combatte disperatamente per far ritorno a casa e sfuggire ai Giganti che le danno la caccia. Durante il suo viaggio s’imbatte nella madre che le chiede di fidarsi lei e le infligge, invece, il colpo di grazia. Crediti non contrattuali 6 Il dramma è quello di una società intera contro cui il mondo dell’infanzia va a sbattere, quando la sua innocenza viene profanata. Una collettività buia, incapace di leggere le gradazioni dell’animo umano, arenata a un modello binario che divide il mondo in maschi e femmine, buoni e cattivi, forti e deboli, potenti e indifesi, e che non lascia scampo a tutto quel fiorire di vita che c’è nel mezzo. In quest’ottica, il film ha inevitabilmente assunto la forma del numero due: dalla struttura in due atti, alle inquadrature spaccate a metà, al racconto della realtà riflessa nel mondo interiore di Fortuna. La scrittura ci ha liberato dalla coercizione dell’orrore e ci ha consentito di ridare vita a questa piccola condottiera. Ha vendicato Fortuna, rendendola un personaggio eterno che affronta ogni giorno il suo mostro senza morire mai. L’ha trasformata in un sogno e l’ha condotta su una stella inventata appositamente per lei, per illuminare gli occhi dello spettatore e placare il mio cuore.
Nicolangelo Gelormini