MAURO MANCINI - Non Odiare e' un film sulla Memoria e sulle memorie
Come nasce l'idea del film "Non Odiare"?
Mauro Mancini: Qualche anno fa io e Davide Lisino abbiamo letto la notizia di un medico di origine ebraica che, in Germania, si è rifiutato di compiere un’operazione chirurgica su un paziente che aveva un tatuaggio nazista sulla spalla. Ho pensato subito che potesse essere un ingaggio narrativo molto potente. Mentre, però, quel paziente tedesco fu poi operato, senza conseguenze, da un altro medico, noi siamo partiti dalle ripercussioni ipotetiche che quello stesso gesto avrebbe potuto causare se quel medico fosse stato messo in una condizione di scelta tra la vita e la morte. Per questo abbiamo deciso di forzare drammaturgicamente il dilemma etico del nostro protagonista, Simone Segre, mettendolo alle strette. Il nostro protagonista, interpretato da Alessandro Gassmann, è infatti un medico ebreo figlio di un reduce dai campi di concentramento, e così, quando all’inizio del film vede il tatuaggio di quella svastica sulla persona che soccorre a seguito di un incidente, viene travolto da un dilemma morale che gli annebbia la coscienza e finisce per compiere una scelta che innescherà in lui un senso di colpa enorme, che poi guiderà tutto il film.
Hai fatto un film politico/sociale, per ricordare la storia, ma anche per descrivere un presente che sembra non confrontarsi più con la memoria storica...
Mauro Mancini: La nostra riflessione parte da un odio ben specifico, l’antisemitismo. Parte dagli effetti di quel grande male che è stato il Nazifascismo per parlare in senso più ampio di quell’odio presente già nel titolo del film. Un odio che spesso è figlio di ideologie granitiche e che sfocia sempre più spesso in un’intolleranza più trasversale e quotidiana che sta diventando sempre più una presenza costante delle nostre vite. Sapevamo che stavamo andando a trattare un tema che è una ferita ancora aperta, dunque la difficoltà stava tutta nell’eliminare ogni forma di giudizio o peggio di pregiudizio nei confronti di tutti i nostri personaggi. Anche per questo ho cercato di frapporre tra me e loro, tra la macchina da presa e i personaggi, una “distanza empatica”, quasi a volerli osservare da lontano senza mai giudicarli. Questo film, come tutto il cinema che amo di più, non ha l’obiettivo di fornire delle risposte allo spettatore ma di spingerlo a una riflessione sui temi che tocca e sulle domande che pone. Come questa ad esempio: quanto è difficile oggi spezzare la catena dell’odio? In questo senso "
Non Odiare" è un film sulla Memoria e sulle memorie.
Il protagonista cerca redenzione o è solo ossessionato dai rimorsi?
Mauro Mancini: Il protagonista cerca sicuramente anche una redenzione dal nodo irrisolto con suo padre, un deportato nei campi di concentramento e reduce spezzato per sempre nell’animo, come mostra la cruda scena iniziale fra il genitore e il figlio.
La scelta, poi, di lasciar morire il neonazista non è una semplice vendetta, ma qualcosa di più complesso, una diretta conseguenza degli orrori del Nazifascismo che echeggiano ancora oggi, purtroppo. Cerca una redenzione anche dall’orribile passato che tutti conosciamo. O che dovremmo conoscere affinché non si ripeta. Redenzione che non sempre significa dimenticare e perdonare.
Tutti i personaggi del film hanno un'evoluzione all'interno dell'arco narrativo, che li porterà a nuove consapevolezze...
Mauro Mancini: Verissimo. Tutti i personaggi partono da certe posizioni e poi si ritrovano loro malgrado a veder scardinate, una per una, tutte le loro certezze. È un processo doloroso, violento anche, ma è il prezzo da pagare quando si fanno i conti con la nostra storia e con noi stessi Alla fine le loro contraddizioni umane rimarranno sempre, ma forse, per tutti e tre, la speranza di un miglioramento ancora esiste.
Nei ruoli di Simone e del Dott. Segre, ci sono dei lati oscuri, che comunque cerchi di non evocare. Come mai questa scelta?
Mauro Mancini: I tre personaggi principali del film sono delle isole, delle solitudini. Tutti e tre hanno un passato e un presente poco risolto. Sono portatori di conflitti interiori molto forti e che cercano di risolvere durante lo scorrere della storia. Quello che mi interessava era mettere in scena questi conflitti in maniera indiretta, senza esplicitarli troppo perché credo che il non detto nei film possa essere molto più potente di quello che si dice, di quello che si esplicita. È facile notare ad esempio che quando i personaggi parlano spesso mentono mentre quando restano in silenzio sono più sinceri.
Volevo che ciò che i personaggi non si dicono fosse più importante di ciò che si dicono. È proprio questo che cerco. Usare meno parole possibili. L’obiettivo è quello di trasmettere un sentimento, un’emozione con la messa in scena, con la luce, con un movimento di macchina o un’inquadratura specifica. Per questo, quello che abbiamo fatto fin dalla prima stesura è stato un lavoro di asciuttezza verbale, cercando di spostare il peso di ogni scena sempre sul livello visivo. Volevo che la grammatica fondante di questo film fosse rappresentata dai silenzi, dagli sguardi, dalle pause tra una battuta e l’altra, dai pensieri segreti dei protagonisti. Quello sulla recitazione è stato un lavoro di sottrazione totale per rendere tangibili i non detti, i piccoli particolari che rendono i personaggi reali.
Nel tuo film c'è un'importante uso dei segni, del simbolismo, delle immagini. Come hai creato queste atmosfere?
Mauro Mancini: L’obiettivo è quello di creare immagini che non rimandino solo alla letteralità di ciò che si vede, ma che siano stratificate, evocative, che rimandino anche ad altro. In questo caso, molti segni e simboli sono emersi con naturalezza già in fase di scrittura. L’atmosfera credo sia dovuta alla scelta di uno stile asciutto, a un montaggio essenziale e a una fotografia “chirurgica” che creano una distanza empatica con i personaggi. E al tono generalmente rarefatto e sospeso che evoca lo smarrimento e la “solitudine” di tutti i protagonisti, smarriti come ci possiamo sentire tutti in questo mondo e illuminati da nuove e improvvise consapevolezze che li fanno sentire in pace, anche se solo per brevi e fugaci momenti.
Passiamo al cast. Come hai scelto per i ruoli principali Alessandro Gassmann, Sara Serraiocco e Luka Zinic?
Mauro Mancini: Spesso, durante la stesura del copione, mi ero ritrovato a immaginare Alessandro Gassmann per il ruolo di Simone Segre e Sara Serraiocco per il ruolo di Marica Minervini.
Sono due attori fenomenali che sanno fare dei silenzi, delle pause e del corpo un uso prezioso. Il loro apporto al film è stato fondamentale. Non solo hanno regalato al film due prove attoriali maiuscole, ma la loro generosità hanno contribuito in maniera determinante anche all’affiatamento sul set. Mi ricordo che Alessandro, dopo aver letto la sceneggiatura, mi scrisse un sms molto bello in cui tra le altre cose mi diceva di volermi incontrare. Quando ci vedemmo per la prima volta, in un bar del centro, a Roma, la prima cosa che mi disse fu “Il tuo è un film necessario. Ho amato molto la sceneggiatura, ci sono pochissime parole, fammi parlare ancora meno, se possibile”. Fu amore a prima vista.
Per quanto riguarda il ruolo di Marcello invece abbiamo fatto una lunghissima ricerca. La fase di scouting e di casting è durata molto, tanto da sembrare a un certo punto senza via d’uscita. Poi un giorno si è presentato ai provini Luka Zunic. Era magrissimo, dinoccolato, con i capelli biondo platino e il doppio taglio, senza dubbio visto l’abbigliamento e la maniera di parlare affascinato dal mondo della trap. Niente di più lontano da quello che sarebbe dovuto essere Marcello. Eppure, quando l’ho guardato negli occhi la prima volta ho pensato di averlo trovato. Era di certo un diamante grezzo, ma il suo talento era già chiaro. Quello che nascondeva Luka sotto una superfice di spavalderia giovanile era una bellissima fragilità che si adattava perfettamente alle contraddizioni di Marcello. Abbiamo fatto un percorso a strettissimo contatto di avvicinamento al suo personaggio. Abbiamo lavorato sull’aspetto - un mese e mezzo prima delle riprese gli ho chiesto di rasarsi i capelli e di vestirsi come Marcello nella vita quotidiana per far sì che sentisse suoi quegli indumenti. Abbiamo lavorato poi sul corpo, sulle movenze e sul movimento con lunghe prove. Non volevo che si atteggiasse, volevo che fosse quel personaggio, volevo che incarnasse un certo tipo di modo di fare. Quando è arrivato a Trieste per le riprese la trasformazione era completata.
Ti aspettavi questo successo mondiale del film, che dalla Settimana Internazionale della Critica di Venezia, ha preso il volo nei festival di tutto il Mondo?
Mauro Mancini: È difficile aspettarsi qualcosa di così travolgente. Dalla grande emozione vissuta alla Mostra del Cinema di Venezia il film ha viaggiato finora in 18 paesi diversi ed è stato selezionato già in 60 festival. Purtroppo l’unica piccola nota stonata è il rammarico di non poterlo accompagnare in un viaggio così bello e lungo a causa della pandemia. La quasi totalità dei festival si svolge, infatti, in questo momento, in modalità online.
"Non Odiare" è la tua opera prima di lungometraggio. Ci parli un po' della tua carriera prima di questo film?
Mauro Mancini: La mia prima passione è stata la fotografia. Fin da bambino amavo fare foto e a un certo punto mi sono reso conto che stavo cominciando a ragionare per fotogrammi. A “vedere il mondo intorno a me” come una serie di inquadrature. Come una serie di “storie” da poter raccontare. Questo mi ha spinto ad approfondire la materia cinematografica e a studiarla a fondo da autodidatta. Nel 2005 ho scritto e diretto il mio primo cortometraggio (n.d.r. "
Il Nostro Segreto"), che ha avuto diversi riconoscimenti e un lungo percorso festivaliero. Poi molte pubblicità, videoclip, brevi documentari, molti lavori nel campo del sociale e un film collettivo nel 2009 (n.d.r. "
Feisbum"). L’obiettivo è sempre stato quello di fare cinema. Ho continuato a scrivere e a immaginare storie fino all’incontro con il produttore di “
Non Odiare”, Mario Mazzorotto, che ha creduto quanto me che questa storia fosse necessaria e ha deciso di produrla.
Se dovessi dire cosa mi ha spinto a fare film, alla fine penso sia la necessità di capire meglio gli esseri umani e provare a raccontare le nostre contraddizioni.
Per concludere, dopo "Non Odiare", quali nuovi progetti hai in mente?
Mauro Mancini: Sto lavorando su due nuove storie ma non posso ancora dire molto. Quello che vorrei continuare a fare è prima di tutto il cinema che mi piace anche vedere da spettatore. Un cinema che affronta temi importanti senza puntare il dito, senza giudicare. Mi piacciono gli autori che fanno del loro cinema anche uno strumento di impegno civile senza avere però la presunzione di sapere cosa sia giusto o sbagliato. Il cinema che voglio continuare a fare è questo. Un cinema che non sia solo intrattenimento ma che sia capace di porre allo spettatore delle domande forti su tematiche importanti, senza annoiarlo.
05/03/2021, 10:19
Simone Pinchiorri