Note di regia di "Angelo Bianco"
Girato nel corso di cinque anni, dal 2014 al 2019, Angelo Bianco nasce inizialmente con l’intento paradocumentaristico di rimettere in scena la storia vera del suo protagonista, Salvatore Tarullo, anziano vedovo, cantante dilettante e poeta, e del terribile lutto che lo ha colpito. La ricerca della moglie, le serenate, la convinzione che tutto sia legato a uno spettacolo di magia: è tutto ricostruito, rimesso in scena con attori non professionisti, eppure reale. Reali, soprattutto, sono le affezioni e i ricordi del protagonista, nel ruolo di se stesso, ma anche degli altri attori, molti dei quali rimettono in scena il loro vissuto, in uno sforzo di scrittura collettiva.
Il fatto è che, a metà delle riprese del film, le affezioni sono giunte a un tale livello di intensità che il suo protagonista, proprio come previsto dalla sceneggiatura per il personaggio, si è tolto la vita. Angelo Bianco, dopo una lunga pausa di commossa riflessione, è stato riscritto e rivisto, i suoi personaggi ricollocati in un contesto diverso, si è apparentato con altre storie, preferendo mantenere un pudico riserbo sulla morte del suo protagonista, facendone l’eroe di un programma radicale di sparizione dal mondo, di sottrazione e clandestinità come modi della resistenza politica di un mondo che non esiste più. Il film è così divenuto una cronaca più ampia sulla memoria, su strati di ricordi soggettivi che affondano in un terreno comune e condiviso, in una coscienza diffusa e impersonale che è nel tempo ma fuori dalla storia. I riferimenti di metodo sono innumerevoli, da Henri Bergson a Ernesto De Martino, da Guido Morselli a Werner Herzog: ma ciò che ha orientato tutto il lavoro sono state soprattutto le affezioni vissute dai suoi personaggi e da me, con una cura particolare per l’ambiente sonoro. Angelo Bianco vorrebbe infatti essere soprattutto un assordante film d’amore.
Vincenzo Basso