Note di regia di "Cuban Dancer"
Se la danza è il linguaggio segreto dell’anima, la danza cubana svela il sentire di un popolo in costante dialettica con la propria identità. Essere cubani è vivere un conflitto insanabile: l’amore viscerale per l’isola e la necessità per molti di abbandonarla. La despedida, l’addio, è affare quotidiano a Cuba. Della poetica dell’addio si nutre la sua arte. Della speranza del ritorno e delle disillusioni vive quel corpo cubano che balla rapito dalla stessa estasi i riti afro‐caraibici, la Salsa e Giselle.
Per Alexis l’esperienza dell’addio è arrivata a quindici anni. Addio al primo amore e a quel metodo cubano di balletto orgogliosamente assunto anche come guida morale. A poca distanza, in Florida, dove l’educazione artistica e sentimentale di Alexis è proseguita, si cresce e si danza in maniera diversa. Il denso e ossidato tessuto urbano dell’Avana è sostituito dal placido ordine delle “gated communities”, l’indottrinamento della Scuola Nazionale di Balletto dal modello liberale dell’HARID Conservatory di Boca Raton. Ciononostante, questi mondi apparentemente antitetici si completano e necessitano l’uno dell’altro.
Dalla loro capacità di dialogo dipende il cammino dell’integrazione di tanti giovani latini, come Alexis, che dagli USA si aspettano rispetto identitario oltre che opportunità economiche. Per i loro genitori forse è troppo tardi per sfuggire al ghetto della comunità latina di Miami, a un’integrazione che spesso ha il sapore dello sfruttamento. Alexis e i suoi compagni, invece, hanno già abbandonato gli stereotipi e assistono sconcertati al ripresentarsi di dinamiche congelate fuori dal tempo. Per loro è solo rumore di fondo. Nel salone dove la prova è in corso c’è soltanto danza.
Roberto Salinas