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GLOCAL FILM FESTIVAL 20 - "Le mie scenografie da Moretti a Soldini"


Paola Bizzarri premiata alla carriera al Glocal Film Festival di Torino per le sue scenografie cinematografiche


GLOCAL FILM FESTIVAL 20 -
Il Glocal Film Festival ha assegnato alla scenografa Paola Bizzarri il premio Carlo Alberto: nata a Roma ma torinese d’adozione, ha lavorato con alcuni tra i più grandi registi italiani, da Carlo Mazzacurati a Nanni Moretti, da Silvio Soldini a Giacomo Campiotti.

Come ha cominciato la sua attività?
All'inizio ero indecisa se fare la scenografa o la pittrice di scena, ero e sono affascinata dall’alchimia e dalla simbologia dei colori. Ho la fortuna d’essere entrata nel mondo della scenografia, della lirica e della pittura direttamente incontrando Silvano Mattei, un grandissimo pittore di scena (ha dipinto il sipario dell'Opera di Parigi con una formula di colore segreta, che viene di volta in volta tramandata ai pittori di scena scelti per l’occasione). Aveva una mano del Settecento, come suo figlio Fabio, mio coetaneo, anche lui pittore di scena e straordinario disegnatore di prospettive. Poi ho iniziato a lavorare in teatro e in lirica con il maestro Nicola Rubertelli e infine sono passata al cinema: tre lavori meravigliosi, che mi sarebbe piaciuto poter fare contemporaneamente.

Quali sono le tecniche artistiche che applica nel suo lavoro?
Mi piace molto progettare e costruire, specie attraverso la pittura e la scultura. Spesso lo spettatore dà per scontato che quello che vede sia già esistente; invece molto (a volte tutto) è ricostruito o inventato. Per esempio, i quadri che si vedono nei miei film sono spesso realizzati da me, o affidati a grafici o pittori di scena. Le statue de Il comandante e la Cicogna (girato a Torino con il contributo della Torino Piemonte Film Commission) le ho progettate e commissionate alla Tecnostile, noto laboratorio di scultura per il cinema. La statua di Garibaldi che abbiamo installato a piazza Statuto era così credibile che qualche residente l’ha scambiata per un monumento vero. La Cappella Sistina e la facciata della basilica di San Pietro di Habemus Papam sono state da me progettate, disegnate e ricostruite grazie ai miei costruttori di fiducia e ai laboratori di Cinecittà; al contrario la Sala Regia e la Sala della Benedizione sono ambienti che ho reinventato completamente, anche se gli affreschi che vi compaiono sono riproduzioni di quelli originali.

Con Nanni Moretti ha vinto il Donatello per le scenografie di Habemus papam.
Nanni è una persona di un’intelligenza sottile e lavorare con lui significa dover essere convincenti. È molto esigente, per lui nulla è dato per scontato. Ogni proposta deve essere motivata ed è necessario per lui valutare tutte le possibili valenze e ambiguità che quella scelta può determinare. È sempre una grande prova lavorare con lui e credo che il terreno d’incontro sia il rigore delle idee.
In Habemus papam ho ricostruito i tre balconi di San Pietro in scala 1:1. Moretti voleva che gli attori si muovessero in un ambiente vero e "completo", non solo con un pezzo di scenografia o con il blue screen, perché lui non ama gli effetti speciali. Il balcone nella realtà è a 18 metri da terra, noi lo abbiamo ricostruito a 6 e con solo pochi millimetri di possibile “sforo”. All'inizio ero un po' in crisi, perché il margine di errore era davvero minimo, ma grazie a fotografie in alta qualità e con la tecnica della "restituzione della prospettiva" ce l'abbiamo fatta.
Negli studi di Cinecittà, poi, abbiamo trovato il luogo perfetto: era stato teatro di uno spot della Telecom Italia di qualche anno prima. Era l'ideale, ci permetteva anche di risparmiare molto e alla fine ha messo tutti d'accordo. Peraltro, lo stesso set sarebbe stato utilizzato in seguito da altri registi, tra cui Paolo Sorrentino per la sua serie Tv per Sky.

E Silvio Soldini? 
Silvio è il regista con il quale ho fatto più film, con lui ho un rapporto particolare, è un regista che quando prepara un film gioca e fa giocare tutti, tra me e lui nel tempo (ma devo dire fin dall’inizio) si è stabilita una particolare sintonia di stimoli e di riflessioni, un gioco delle parti che a volte si inverte.  Con Pane e Tulipani è iniziata una collaborazione che dura da vent’anni, sempre con lo stesso entusiasmo. Silvio è un regista eclettico, in ogni film si mette alla prova su registri diversi, e di conseguenza anche il nostro approccio è sempre diverso. Mi ha sempre lasciato la massima libertà di proporre liberarandomi così dalle mie sicurezze. Sapevo di avere un gusto ma con lui ho avuto la possibilità di mettermi in gioco su più fronti, aprendomi all’interpretazione e mettendo da parte le certezze personali; insomma, mi ha insegnato a osare.
Trovo estremamente divertente lavorare con lui. È come giocare a ping pong con le idee; puoi fare tante ipotesi in libertà e poi, in qualche modo, tutto tornerà utile, dal momento che Silvio è capace di fare tesoro di tutto. A Torino ha girato Il comandante e la cicogna. Tra suoi film, ho amato molto Agata e la tempesta e Brucio nel vento. Di lui mi piace la versatilità. Dalla commedia è passato al realismo, poi al realismo magico, ma alla base c’è la sua grande preparazione e consapevolezza del linguaggio cinematografico che rende ogni sua scelta di inquadratura, ogni cambio di focale, ogni movimento di macchina non solo funzionale ma anche espressivo.

Cosa le piace della sua professione?
Fare esperienze di vita, conoscere realtà diverse, immergersi in mondi dove non arriveresti mai. Facendo il film di Marco Pontecorvo Parada ho conosciuto e vissuto a fianco dei ragazzi che vivevano nei sotterranei di Bucarest e sniffavano colla per sopportare la propria vita infernale. Sono esperienze dure, che mettono in crisi le nostre sicurezze.
Noi della scenografia arriviamo ad indagare sui luoghi prima di tutti gli altri. Ma ci vuole rispetto verso le realtà che vai a incontrare. Le troupe sono dei carri armati, forse perché il loro primo intento è chiudere la giornata, anche se in confronto a quanto avveniva in passato sono molto più rispettose.
Ho visitato un centro terminale di malati di Alzheimer a Genova e mi rifiuto di andare in luoghi come centri di chemio o nei reparti di terapia intensiva; sono luoghi in cui il dolore deve essere rispettati ed è per questo che scelgo sempre di ricostruirli in studio o adattando altri spazi ad hoc.

14/03/2021, 16:06

Carlo Griseri