Fondazione Fare Cinema
!Xš‚‰

Note di regia di "The silence of god"


Note di regia di
“The silence of God” (“Il silenzio di Dio”) è un cortometraggio di genere sperimentale che riflette su temi spirituali e metafisici (la difficile relazione fra la trascendenza dell'Essere e l'immanenza degli enti materiali), e lo fa attraverso l’essenziale, con l’intento di sollevare domande piuttosto che offrire risposte.
E’ un’esperienza sensoriale e concettuale, priva di dialoghi, ma ricca di scene simboliche o metaforiche; un linguaggio non-narrativo e non-didascalico che cerca di penetrare la dimensione più profonda e inconscia dello spettatore stimolando la sua sensibilità, cultura e intelligenza, e soprattutto la sua vena intuitiva ed interpretativa.
Mediante la pura forza del montaggio cinematografico, l’opera abbina immagini e musiche evocative a contenuti profondi e complessi, per rappresentare in modo allegorico e concettuale l’enorme difficoltà o incapacità dell’uomo moderno di saper vedere, assorbire e vivere la dimensione del sacro nel mondo terreno. Si vuol esprimere, sotto forma di teorema, questa sorta di difficoltà (o addirittura di impossibilità) a percepire, comprendere e realizzare in modo autentico, pieno e completo la dimensione spirituale in quella materiale del mondo.
E’ un’amara visione che tocca la condizione dell’uomo moderno, credente o meno, ma che potrebbe essere anche estesa più in generale alla natura propria dell’essere umano, poiché a causa della debolezza della propria imperfetta condizione, egli è sempre a rischio di vedere vacillare se stesso o la propria fede.
Davanti a suggestioni metafisiche, sempre più impenetrabili, l’uomo rischia di perdersi, forse anche definitivamente, e, scoprendosi per quello che (non) è, non potrà far altro che constatare con disperata rassegnazione la propria fragilità ed impotenza.
L’enorme difficoltà umana di poter ascoltare e vivere autenticamente il verbo sacro, resterà sempre e comunque un limite in sé insormontabile, anche quando l’uomo si sforza di superare con maturità questa condizione: infatti, malgrado il suo forte e costante impegno e la sua convinta e ferrea volontà, egli forse si potrà soltanto avvicinare alla vera essenza del sacro, ma non riuscirà mai a coglierla del tutto nella forma apparente o reale che sia, o a viverla concretamente in modo profondo e completo.
La dimensione del sacro rischia così di non trovare una pronta ed immediata accoglienza nella nostra vita quotidiana e nella materialità. Essa appare lontana e altra da noi, quasi un oggetto scomodo del quale sbarazzarsi subito.
Persino lì dove l’uomo potrebbe trovare un contatto più intenso con la spiritualità, ad esempio mediante i sentimenti, gli affetti, oppure nel dolore, nella sofferenza, nel lutto, l’approccio o è illusorio e sfuggente, oppure è reale però poco idoneo, manchevole, provvisorio.
L’uomo così nei riguardi del sacro è come un cieco o un sordo e, spesso, è preda di uno sconfortante senso di inadeguatezza spirituale che a fatica riesce a superare.
Atterrito inoltre dal silenzio divino, sentendosi sempre più solo e lontano da quella dimensione metafisica che vorrebbe più vicina e più facilmente interpretabile, si chiude in sé, negandosi l’opportunità di relazionarsi con quel silenzio, che, se ben accolto, potrebbe aprirlo ad una potenziale ricerca della verità. Anche se però è una ricerca ardua perché il mistero di Dio comunque rimane. E resta in sé impenetrabile e inafferrabile. Siccome non si svela e non si fa leggere chiaramente, rischia poi di non poter nemmeno aiutare l’uomo nella propria conversione o crescita spirituale, ma anzi, di farlo smarrire sempre più.
L’essere umano quindi alla fine capisce che non riuscirà mai veramente ad amare il prossimo come se stesso, o addirittura il proprio nemico. Alla lunga, il suo stato naturale, spesso debole e restio al sacrificio duraturo, nonché troppo legato alla materia, rischierà di prendere su di lui il sopravvento, e rischierà non solo di fargli accantonare (o quasi sparire) l’impegno perseverante nei riguardi della ricerca del sacro e della dimensione spirituale nella propria esistenza, ma anche di fargli praticare il Bene in un modo precario e superficiale, e non veramente pieno e totale.
E allora, attraverso questo dolente percorso argomentativo, che accompagna il film dall’inizio alla fine lungo una sua linea evolutiva, si arriverà alla comprensione che non è soltanto il silenzio di Dio ad inquietare ma anche, e forse soprattutto, il silenzio dell’Uomo nei riguardi di sé, del prossimo e del Sacro…

Antonio Montefalcone