Note di regia di "L'Anno dei Sette Inverni"
È grazie al camminare, all’andare a piedi, all’obbligo di una velocità ridotta, che l’uomo dall’inizio dei tempi ha potuto incontrare l’altro e conoscere. È la scelta che fa il protagonista de L’anno dei sette inverni quella di camminare, di esplorare. Catapultato in un presente senza riferimenti storici precisi, si ritrova a vivere dentro un inverno che prosegue e di cui non si conosce la fine. L’isolamento in cui si trova è condizionato tanto dal paesaggio attorno a lui che dalla solitudine. Attraverso la sua voce seguiamo il suo pensiero: con le parole, le immagini e la colonna sonora, abbiamo cercato di costruire un’atmosfera sospesa senza tempo, una bolla temporale. È metafora di questo presente, legata al periodo che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, un periodo fatto di sospensione forzata, incognite, un quotidiano fatto di azioni semplici, senza l’attesa di risposte o soluzioni.
C’è poi un percorso parallelo al camminare del protagonista: i ricordi. Un breve percorso visivo irrompe in due dei sette episodi attraverso i filmati di famiglia, il privato in formato ridotto, in pellicola super 8, filmato nei primi anni Ottanta dal padre di Matteo Righetto, Cesare. Si tratta di un tema interesse che ho sviluppato da poco più di un anno, questo isolamento mi ha fatto riflettere sul senso del passato e dei ricordi in un periodo di isolamento: senza ricordi sarebbe molto più difficile sopportare il fatto che non sappiamo quando finirà. Attraverso i filmati di famiglia vediamo irrompere non solo la primavera e il tempo dell’infanzia, ma anche i riti collettivi di un’epoca e di un’Italia più spensierata, complice l’essere momenti felici legati alle gite vacanziere, in cui si respira lo stupore della vita quotidiana. Un sentimento che nel nostro personaggio è rimasto: senza confidare solo nella speranza, infatti, ha ancora la voglia di emozionarsi davanti ad un grande albero o al miracolo dell’alba finita la tempesta.
Marco Zuin