VENEZIA 78 - "Il Buco", scoprire l'ignoto sotto di noi
Un gruppo di speleologi piemontesi nel 1961 raggiunge la Calabria e si avventura nel Pollino, scoprendo di poter arrivare in fondo all’Abisso del Bifurto, la grotta più profonda d'Europa tra quelle conosciute allora, con i suoi 700 metri. Quell'impresa non diventa celebre, rimane circoscritta al mondo di chi ama avventurarsi nel sottosuolo.
Quando il calabrese
Michelangelo Frammartino scopre l'esistenza di quell'impresa e di quel mondo sotterraneo, de "Il buco" per l'appunto, capisce che è ciò che vuole raccontare. Ma come farlo? Il cinema del reale incontra quindi la finzione, la rappresentazione cerca l'aderenza con la documentazione.
Un gruppo di giovani speleologi viene chiamato a rivivere quell'avventura, usando tute e attrezzature originali di 60 anni fa, recandosi sui luoghi originali, opportunamente ritoccati per confermare l'ambientazione, con visioni televisive condivise in piazza e vecchie riviste d'epoca a ricordare allo spettatore cosa intanto stava avvenendo nel mondo "di sopra".
Ma non è un film, "Il buco". E non è neanche un documentario: utilizza quel linguaggio, senza diventare un vero "mock" ma facendo nascere un genere di film nuovo, complesso da definire (la cosiddetta "docufiction" è ben altra cosa, molto meno interessante), un film con attori, costumi e messinscena che però è in tutto e per tutto documentaristico.
Un film da vedere, con la giusta attenzione ai suoni e alle (rade) immagini: c'è tanto buio in grotta, e tanto buio è offerto agli spettatori. Ma c'è anche tanta vita, nei piccoli e lenti gesti con cui ci si muove, nella condivisione di ogni passo che lega il gruppo di speleologi in modo indissolubile, nella voglia di vedere qualcosa di ignoto ai più, se non (come in quella missione del 1961) a tutti.
04/09/2021, 17:55
Carlo Griseri