FESTA DEL CINEMA DI ROMA - E Pif rimase a guardare
Arturo, un manager che ha programmato per la sua azienda un algoritmo innovativo per migliorare le prestazioni dei dipendenti, viene licenziato proprio perché ritenuto superfluo dal suo stesso programma. Troppo vecchio per trovare un lavoro alla sua altezza viene catapultato in una realtà lavorativa alienante e disumana: quella di FUUBER, un’azienda in cui rider – schiavi per guadagnarsi da vivere devono macinare chilometri in bici e consegnare nel minor tempo possibile il cibo ai clienti a qualsiasi ora del giorno e della notte. Una vita che non gli permette nemmeno di avere una relazione se non attraverso un’app sviluppata dalla stessa FUUBER che fornisce tramite un abbonamento degli ologrammi personalizzati per dare l’illusione di non essere soli e di essere capiti e amati. Ad Arturo spetta la dolce Stella che diventerà fondamentale per la sua vita, fino a quando la prova gratuita non scadrà…
Lo scenario raccontato da
Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, in "
E noi come stronzi rimanemmo a guardare", scritto con
Michele Astori e liberamente ispirato al concept “Candido e la tecnologia” del collettivo I Diavoli, è un futuro drammaticamente “presente” del quale abbiamo già chiari gli effetti: di rider e corrieri che sfrecciano per consegnarci cibo e pacchi sono piene le strade delle nostre città, ansiosi di ottenere gradimento da parte dei clienti e soggiogati dagli “arrivi previsti” calcolati dalle app. Le stesse app, motori di ricerca e cookies che “controllano” le nostre vite e conoscono le nostre preferenze e movimenti. Una satira pungente e spaventosa di una realtà più che un racconto distopico, realtà che ci è già sfuggita di mano senza aver fatto nulla per impedire che accadesse, guardando e basta, come recita il titolo del film.
Se in
“Sorry We Missed You” Ken Loach ci mostrava con crudo realismo la quotidianità drammatica di un corriere sfruttato, in questo nuovo lavoro, che per certi versi ricorda “Her” di Spike Jones e la serie cult “Black Mirror”, il regista e sceneggiatore siciliano ci fa ridere amaramente attraverso brillanti trovate e la comicità inconfondibile di
Fabio De Luigi: il turno di 24 ore con 20 minuti di sonno ogni 4 ore, le corse in salita per portare ad un cliente dei gamberi della razza sbagliata o l’ordine di un entrecôte per il cagnolino domestico, lo slogan cool e positivo da cantare al citofono.
La figura e la situazione del rider, che nell’immaginario collettivo rappresenta l’anello più debole della catena lavorativa, diventa la metafora di un “sistema di disperati” che non concerne solo il mondo del lavoro ma anche quello dei rapporti umani che sembrano avere ancora una possibilità come per Arturo e Stella, in un finale però agrodolce, diviso tra speranza e pessimismo.
24/10/2021, 09:17
Caterina Sabato