Note di regia di "L'Afide e la Formica"
L’idea che sta alla base di “L’Afide e La Formica” nasce dall’esigenza di raccontare la Calabria, da sempre terra di contaminazioni, con un approccio innovativo e originale e allontanandosi il più possibile dai cliché cinematografici che dipingono questa regione come una terra disagiata. Partendo da un contesto reale e da avvenimenti che ogni giorno balzano alle cronache nazionali, ho cercato di sviluppare una storia che toccasse temi ancora troppo poco esplorati, soprattutto in ambito cinematografico, come l’integrazione e l’identità. Ho scelto di puntare il focus sulle nuove generazioni di calabresi, gli immigrati di seconda generazione, figli cioè di immigrati stanziali che hanno deciso di rimanere in Calabria e che hanno assunto una rilevanza sempre maggiore da un punto di vista demografico, ma anche economico e occupazionale, cercando di interpretare il fenomeno come momento di crescita, non soltanto sociale o culturale, ma anche e soprattutto umano. Ho deciso di affrontare il tema dell’integrazione e dello scambio culturale in maniera delicata, ma allo stesso tempo incisiva, evitando di scadere in registri dai toni retorici o banali e fuggendo da risvolti logori legati alla denuncia sociale, piuttosto guardando da vicino alle reazioni umane, alle emozioni e ai sentimenti. Prendendo come esempio film che trattano tematiche per ragazzi, che trovano ampio spazio all’interno di una cinematografia dal respiro più europeo, ho provato a raccontare l’affascinante universo di un’adolescente immigrata, in maniera schietta, diretta e sincera. Nasce così il personaggio di Fatima, giovane studentessa di origini marocchine, che si trova a fare i conti con i suoi sogni, le sue aspirazioni, le sue pulsioni, le sue difficoltà nell’affrontare l’età adolescenziale dove tutto è fonte di grande emozione e caos sentimentale. Fatima, alla costante ricerca della propria identità e del suo posto nel mondo, diventa così il simbolo di un desiderio di appartenenza e integrazione di tutta una generazione di nuovi immigrati. Addentrandosi nell’argomento, si è rivelato di
grande utilità, soprattutto ai fini della verosimiglianza narrativa, la ricerca che è stata condotta dagli sceneggiatori, attraverso un confronto continuo e un costruttivo scambio di punti vista, con ragazzi e ragazze di origini marocchine residenti a Lamezia Terme in provincia di Catanzaro. Partendo da un confronto diretto con loro, ascoltando i loro racconti, le loro storie pregne di speranze e aspettative, prendendo quindi spunto da episodi realmente accaduti, è stato possibile dare vita al personaggio di Fatima, definendo un carattere tridimensionale e dalle molte sfaccettature psicologiche. L’obiettivo di questa storia è quello di unire il mondo degli immigrati al contesto sociale calabrese per farli interagire e trovare i loro punti di contatto. Questi due mondi, all’apparenza molto distanti tra loro, sono in realtà molto simili. In tal senso è stato molto interessante ragionare sul tema dell’identità culturale, non solo dal punto di vista di chi deve integrarsi, ma anche dalla prospettiva di chi è nato e cresciuto in Calabria e cerca di riscoprire un nuovo senso di appartenenza e di rivalsa, così come accade al protagonista Michele Scimone. Infatti questo insolito professore di ginnastica, calabrese doc, completamente radicato negli usi e costumi della sua regione, tormentato dal suo passato, diventa rappresentante di tutto un tessuto sociale che, attraverso una presa di coscienza consapevole, riscopre la propria identità e lotta ogni giorno, anche contro se stesso, per provare a svincolarsi da stereotipi sociali e culturali e a realizzare un sogno di riscatto. Attraverso il personaggio di Michele, coi suoi tic, le sue
nevrosi, le sue ossessioni, ma anche la sua voglia di cambiare e di voltare pagina, è stato possibile affrontare temi delicati, come quello della criminalità organizzata e dell’omertà con un approccio nuovo e originale, fuggendo il più possibile da strade già percorse e scontate. Michele ha un arco narrativo preciso: parte come un personaggio passivo, succube degli eventi e della propria vita, per poi avere una svolta consapevole e diventare attivo, agendo concretamente per un cambiamento. Nel corso della storia, grazie all’incontro con Fatima, è come se subisse una rinascita, un’epifania che lo fa diventare il profeta di una fede riposta nel sogno di un riscatto. La personale rivincita di Michele nei confronti di un retaggio culturale, il suo taglio netto coi fantasmi del passato, diventano la rivincita e il sogno di cambiamento di un’intera terra.
Ma il cambiamento sociale e culturale può compiersi solo dall’interazione di quei due mondi, passando attraverso il rapporto simbiotico che si instaura tra i due personaggi, che nonostante siano così lontani, sia anagraficamente che culturalmente, sono mossi da un comune senso di rivalsa. È attraverso la loro interazione e collaborazione, attraverso il loro scambio quindi, che entrambi riescono a trovare la via della realizzazione. Così, mentre Michele incarna il ruolo dell’eroe, che si distacca dal ventre materno, rompe con le regole del
passato per traghettare le proprie radici e le proprie tradizioni in un mondo nuovo, Fatima diventa depositaria di un testamento morale e culturale su cui costruire la strada verso il futuro. Un elemento che gioca a favore dell’originalità del racconto sta nell’uso della tematica sportiva. Lo sport, emblema dello sforzo umano, del superamento del proprio limite e della possibilità di lasciare un segno tangibile, è il modo più immediato per superare le barriere sociali, culturali, i pregiudizi, la diffidenza, l’intolleranza. Con la sua forza di condivisione immediata, capace di creare legami e abbattere barriere di ogni tipo, mentali e fisiche, è quindi il mezzo attraverso il quale si è deciso di stabilire un contatto e un’interazione tra i protagonisti. La vittoria della gara rappresenta per Michele e Fatima l’obiettivo da conseguire per ottenere una catarsi comune, una meta che può essere raggiunta solo attraverso la loro collaborazione, l’elemento in grado ribaltare e trasformare la loro condizione iniziale, accompagnandoli, passo dopo passo, verso il cambiamento finale.
L’utilizzo della tematica sportiva ha anche e soprattutto il compito di accrescere l’aspetto spettacolare della narrazione, essendo in grado di creare momenti di forte tensione narrativa, permette di immergere lo spettatore in una vicenda piena di ritmo e adrenalina, ma anche di cuore. La Maratona pur essendo in questo caso una semplice gara di paese, si va ad arricchire di un notevole valore atletico e umano, in cui lo spettatore può riconoscersi, diventando il simbolo di quelle sfide interiori e silenziose, che ogni giorno ognuno di noi disputa contro se stesso. 14 15 La struttura narrativa del racconto è tutta incentrata su un arco narrativo che corrisponde all’arco di cambiamento del personaggio principale e questo conferisce alla storia un ritmo naturale, che senza correre il rischio di essere forzato, accompagna i protagonisti dall’inizio alla fine, lasciando allo spettatore la curiosità di scoprire quello che succederà successivamente. Scoprire le carte lentamente, scena dopo scena, portando lo spettatore, di volta in volta, a chiedersi “e adesso che succede?” consente di
mantenere alta l’attenzione e prepara al climax narrativo che è stato pensato come un finale risolutore, in grado di commuovere, emozionare e capace di generare sentimenti di immedesimazione. Pur trattandosi di una storia drammatica, che si basa su un antefatto tragico, si è cercato di mantenere sempre leggeri i toni della narrazione senza correre il rischio scadere nella retorica. In questo senso, una delle carte vincenti è certamente la decisione di non raccontare in maniera diretta, quindi senza ricorrere a scene ambientate nel presente diegetico dei personaggi, l’evento tragico vissuto dal protagonista.
Si è optato per iniziare il racconto nel momento in cui il protagonista decide di dare un taglio netto al suo passato, uscendo dal suo guscio e cercando di progettare il piano per affrontare i suoi demoni. Per essere efficaci e allo stesso tempo informare lo spettatore, al fine di coinvolgerlo maggiormente a livello emotivo, sul vissuto del protagonista e sul suo antefatto tragico (la morte del figlio), su cui è costruita l’intera vicenda, si è deciso di inserire un elemento onirico. L’incursione nell’incubo, che racconta il dramma dell’omicidio, da un lato; essendo un mezzo narrativo meno canonico rispetto al flashback, ma ugualmente se non maggiormente efficace, permette di rappresentare al meglio il subconscio del protagonista e quindi di fornire un suo quadro psicologico più completo; dall’altro dà la possibilità di inserire un elemento di mistero allo scopo di rendere la narrazione più affascinate. Facendo proprio riferimento a queste sequenze, si è scelto di mettere in scena la violenza ricorrendo a un registro surreale che amplifica e rende straniante la drammaticità del momento, diventando così ancora più forte ed efficace per lo spettatore.
Mario Vitale