Note di regia di "Los Zuluagas"
Quando ho conosciuto Camilo sono stata immediatamente colpita dalla sua urgenza di
raccontare la propria storia, di essere ascoltato. Non si trattava di un racconto già pronto,
ma al contrario, ad ogni nostro incontro, Camilo sceglieva parole diverse per descrivere lo
stesso episodio, lo arricchiva di nuovi particolari e sfumature, taciuti la volta precedente.
Quegli incontri erano diventati il luogo dove ricordi lontani, confusi e frammentati,
trovavano uno spazio protetto per emergere, dove ferite tenute nascoste per una vita
potevano essere riaperte.
Sulla base della fiducia reciproca Camilo ha deciso di affidarmi la sua storia e di
consegnarmi l'intero archivio familiare: i suoi diari, l'autobiografia del padre, il ritratto della
madre, fotografie e ritagli di giornale… ma soprattutto decine e decine di video in cui,
sorprendentemente, immagini di vita privata si alternavano a scene di militanza politica e
guerriglia in Colombia, eredità di un padre, comandante di un esercito rivoluzionario e
cineasta amatoriale.
Immergersi nell'archivio è stata un'esperienza intima, un viaggio che ho compiuto con
cura, delicatezza ed empatia. Avvertivo una responsabilità enorme. Attraverso quei
materiali ho avuto accesso allo spazio più privato di una famiglia: ho visto i bambini
crescere e ho cercato di cogliere nei loro sguardi e movimenti le tracce di una madre
scomparsa; ho provato a mettermi nei panni di un padre, schiacciato dal peso delle proprie
scelte e impegnato nello sforzo per tenere tutti uniti.
Le immagini di militanza sono state invece un accesso inedito e privilegiato al mondo della
guerriglia, che mi offrivano uno sguardo capace di andare al di là della retorica della
rivoluzione. Chi aveva girato quelle immagini, aveva osservando il mondo circostante con
naturalezza e complicità, rivelando gli aspetti più quotidiani e ordinari della vita dei
guerriglieri, spesso ragazzi e ragazze poco più che adolescenti, restituendo uno sguardo
affettuoso, a tratti gioioso e ironico su quella realtà.
Gli scritti autobiografici di Camilo e di Bernardo arricchivano ancora il puzzle, offrendo una
duplice lettura degli eventi.
In quella straordinaria mole di immagini e parole ho trovato un sentimento profondo di
mancanza e di sofferenza, ma al tempo stesso un desiderio di vita e di leggerezza.
L'archivio avrebbe potuto raccontare innumerevoli storie, perché, come scrive Bernardo,
“La storia ha tante versioni, quanti sono gli uomini che l'hanno vissuta o che la
raccontano”. In queste parole ho scelto la chiave narrativa del film: los Zuluagas avrebbe
raccontato la storia della famiglia dando voce alla “versione” di Camilo, un uomo in quel
momento ostaggio del proprio passato, schiacciato dalla paura di tradire le aspettative dei
suoi genitori.
La ricchezza dei materiali, diversi e complementari tra loro per formato e origine, mi ha
suggerito l'articolazione del racconto come la ricerca di un dialogo – seppur ormai
impossibile – tra un figlio e suo padre. Un dialogo capace di forzare i limiti del tempo e di
muoversi tra presente e passato, permettendo così a Camilo di ricomporre i frammenti di
ricordi e fargli ritrovare quei genitori desiderati e amati che sentiva di aver perso tra le
pieghe della Storia.
Gradualmente ho iniziato a leggere quelle vicende tanto distanti da me, quella storia
familiare così particolare e unica, con altre lenti. Mi sono sentita libera di poter esplorare i
materiali dell'archivio, distogliendoli dai loro contesti originari, per far emergere da quelle
memorie un racconto significativo dal punto di vista emotivo, personale e storico.
Raccontando le vicende della famiglia Zuluaga, ho potuto raccontare la complessità del
rapporto tra genitori e figli, la fatica del confronto con se stessi, il bisogno di amare e
sapersi amati.
Flavia Montini