Note di produzione di "Los Zuluagas"
La scelta di sostenere questo progetto è frutto di una coincidenza così strana che non è
stato difficile immaginare come qualcosa di più: una specie di messaggio nella bottiglia,
che ha attraversato anni e contesti diversi, per rivelarsi inaspettatamente in un curioso
incontro tra la regista Flavia Montini e uno dei produttori, Luca Ricciardi, nel 2017. Flavia
aveva da poco conosciuto Camilo, il protagonista del film, e stava proponendo un progetto
incentrato sulla storia della sua famiglia. Luca, in quelle parole, riconobbe la figura del
comandante Bernardo Gutierrez, padre di Camilo, cui aveva fatto nel 2006 una lunga
intervista, l’ultima prima della sua morte. Quell’intervista, realizzata con un amico e collega
di allora, Esteban Vivaldi, che oggi è parzialmente inserita nel film, doveva essere il primo
approccio a un documentario sulla vita di Bernardo che non si fece, per tante ragioni. Tra
queste, certamente la difficoltà nel confronto con una figura così carismatica ma al tempo
stesso fortemente retorica nelle sue forme di comunicazione.
Flavia, dieci anni dopo, aveva invece afferrato il filo di quella storia da un altro capo. In
Camilo, combattuto tra orgoglio e risentimento verso un padre “importante” che però poco
aveva fatto nell’aiutarlo a rielaborare il dramma della desaparición di sua madre Amparo,
cercava la chiave di un racconto non celebrativo o manicheo, capace di restituire i
chiaroscuri di una vicenda, la scala dei grigi tra il bianco e il nero. Il progetto ha affascinato
subito anche gli altri soci di FilmAffair, Valeria Adilardi, Mauro Vicentini e Laura Romano,
che nel 2018 ne hanno avviato lo sviluppo.
Nel processo era già coinvolto l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e
Democratico, poiché un grande tesoro nascosto di questa storia è certamente
rappresentato dal ricchissimo materiale filmico amatoriale girato da Bernardo nel corso
degli anni. Un patrimonio che andava recuperato, organizzato, reso accessibile. Il
percorso di sviluppo editoriale e finanziario è passato dalla partecipazione al Premio
Solinas, ai numerosi mercati italiani e internazionali (Italian Doc Screenings, BAM, Bio To
Be, DOCS Barcelona), alla ricerca di partner sensibili. Tra questi la società colombiana
Inercia Películas e gli italiani Intramovies, Rai Cinema, Istituto Luce Cinecittà sono stati
sostenitori entusiasti del progetto fin dai suoi esordi. Inoltre, il patrocinio di Amnesty
International ha dato valore alle sue peculiarità al di là delle specifiche ambizioni
cinematografiche.
Il processo produttivo è stato lungo e laborioso, come spesso accade - ed è giusto che
accada - con i documentari e con le opere prime in particolare. I materiali così variegati e
la forma non scontata del film hanno richiesto un attento lavoro di pedinamento dell’idea
originaria, accompagnato dalla libertà di verificare ipotesi e sperimentare possibilità. La
sospensione provocata dalla pandemia Covid, pur incidendo pesantemente sulle attività
produttive, allungandone i tempi ha forse, in questo senso, agito a favore del film.
Al percorso di costruzione creativa - che molto deve anche al raffinato lavoro di montaggio
di Enzo Pompeo - la regista ha dedicato estrema cura e approfondimenti meticolosi.
Sempre pronta a farsi sorprendere dalle suggestioni che l’archivio via via rivelava, ha
soprattutto nutrito costantemente, con attenzione e sensibilità, la relazione con il
protagonista principale, Camilo, creando le condizioni della sua piena disponibilità a
rielaborare la propria storia attraverso il dispositivo cinematografico. Infine, la disposizione
non comune di Flavia all’ascolto e al confronto continuo ha consentito al piccolo e
appassionato team creativo del film - vanno citati almeno Ilaria Fraioli, Anita Otto, Okapi,
Marco Pasquini, Simone Altana - di procedere davvero insieme ed essere tutti parte
indispensabile del risultato finale.