Note di regia di "Angel"
Ci sono 8 milioni di storie nella città nuda. Questa è una di quelle”. Si chiude così il film The Naked City di Jules Dassin del 1948. Ed è questo il concetto dal quale voglio partire per raccontare come questo cortometraggio è stato concepito. Questa è una storia che appartiene alla città di New York e noi siamo quelle persone distratte che dividono lo spazio con Angel in metropolitana, quelle persone che Angel incontra camminando per la città nuda. Tutti condividiamo un senso di isolamento e solitudine e, come dice il musicista newyorchese Gil Scott Heron in New York Is Killing Me, “C’erano 8 milioni di persone e io non avevo un solo amico”.
Angel è il viaggio nella scoperta di una di quelle solitudini. Angel è solo come tutta la città a combattere contro quell’isolamento e deve performare, perché è proprio in quel momento che si materializza la sua essenza, in un giorno lunghissimo che sembra non finire mai. Per raccontare Angel infatti ho deciso di girare un giorno solamente, e di girare dall'alba al tramonto, concentrando la camera solo su di lui, togliendo tutto quello che c’è intorno, consegnando ai frammenti lo spazio del racconto: Angel si rivela nei suoi gesti e nelle canzoni che canta, in un dialogo con la macchina da presa che diventa medium per la sua performance.
Ho lavorato sul non spiegare, perché questa performance non è esplicativa, ma esperienziale. Noi siamo lì con Angel e sappiamo che dobbiamo stare con lui, abbiamo fiducia che ci porterà dove non sappiamo, ma continuiamo a seguirlo. E la costruzione della
performance ha voluto che, entrando a casa sua, ci sia un notiziario che parla di drag queen. I frammenti mettono insieme solo chi è Angel oggi, in una città che vive solo di presente.
Partendo dal confine che separa Brooklyn e il Queens, arriviamo nell’Upper East Side, il cuore di Manhattan. È un viaggio che ci porta dalla periferia al centro, in una città dove tutto deve essere centro e periferia.
Il lavoro di ricerca estenuante di Francesca Berardi, che è durato più di un anno, sul canning a New York, ha ispirato questo cortometraggio in cui abbiamo restituito la curiosità del primo giorno di ricerca, delle domande a cui è difficile dare risposta, perché scegliamo di performare con lui, e non di conoscerlo meglio: New York resta una città di solitudine. L'atto finale è il momento in cui il film diventa ciclico: girato con un cellulare dal pubblico durante il suo spettacolo. E tutto si confonde di nuovo: avremmo potuto non incontrarlo mai, avremmo potuto fotografarlo per strada mentre quella mattina spingeva una pila di cartoni di birra seguito da un uomo con la macchina presa.
Alfredo Chiarappa