Note di regia di "Re Granchio"
Re Granchio è il nostro primo film di finzione. Abbiamo gusti comuni, senza dubbio condividiamo l’idea che il cinema d’autore non debba essere trattato come un genere cinematografico a sé stante. Quello che più ci interessa, come autori, è di esplorare il linguaggio del cinema di genere. Sia nella parte italiana che nella parte argentina del film, ci siamo divertiti a rivisitare figure e scene tipiche del cinema western. Del western soprattutto amiamo l’idea che un luogo sperduto come un piccolo villaggio possa essere il cuore di un racconto mitico. È il potere delle storie. Re Granchio parte da luogo piccolissimo, una casina in cui si ritrovano dei cacciatori; ma per arrivare alla fine della storia devi arrivare in capo al mondo, in Terra del Fuoco.
La storia attraverso le leggende
Re Granchio nasce da un racconto che abbiamo sentito in una casina di caccia di un piccolo paese della Tuscia. Conoscevamo Ercolino, il proprietario della casina, ritrovo abituale dei cacciatori della zona, dove si mangia, si beve ci si racconta storie. Una di queste leggende, quella di una pantera che terrorizzava i dintorni, ci ha dato lo spunto per Belva nera. Durante le riprese, i cacciatori ci hanno raccontato un’altra storia, da cui abbiamo tratto poi un secondo documentario: Il Solengo. Ancora una volta, durante la realizzazione di quel film, abbiamo ascoltato una leggenda: quella di Luciano, l’eroe di Re Granchio.
Ogni nuova storia raccontataci dai cacciatori aveva un respiro più ampio della precedente, ma allo stesso tempo molti meno dettagli. Quella di Luciano cominciava a Vejano e finiva in Sudamerica, nella Terra del Fuoco. Tuttavia avevamo poche informazioni sul personaggio e sull’epoca a cui risalivano i fatti. Ancora meno erano le notizie sul suo arrivo in America. Abbiamo dovuto immaginare quasi tutto. Forse è per questo che abbiamo progressivamente abbandonato il documentario per la finzione. Abbiamo consultato degli archivi per trovare le tracce del viaggio che, secondo i nostri amici cacciatori, Luciano avrebbe compiuto tra la fine del Diciannovesimo e l’inizio del Ventesimo secolo. Ricercando tra i passeggeri delle navi dirette in Argentina c’era un omonimo: avrebbe potuto essere il nostro Luciano. Siamo andati a nostra volta nella Terra del Fuoco per ricerche e sopralluoghi e lì abbiamo trovato un mondo ricchissimo di storie e fantasiose avventure di emigrati italiani. Il nostro obiettivo era far sì che, nella parte argentina del film, la storia di Luciano portasse in sé qualcosa di quelle storie di migrazione.
I personaggi e la recitazione
Gli attori della prima parte del film sono per lo più i paesani di Vejano: contadini, operai e cacciatori, ne conoscevamo già la maggior parte dal film precedente. Abbiamo provato con loro per molto tempo, raccogliendo gli spunti per indirizzare il nostro processo di scrittura.
Per il ruolo di Luciano invece, abbiamo deciso fin dall’inizio che avrebbe dovuto essere qualcuno che venisse da fuori. L’idea era che una sorta di estraneità alla comunità del villaggio potesse aiutare a creare nel film quel senso di emarginazione proprio del personaggio di Luciano. Abbiamo pensato abbastanza presto a un nostro amico, Gabriele Silli: non un attore professionista, un artista che vive a Roma. Gabriele si è impegnato tantissimo nel ruolo, ha passato due mesi a Buenos Aires per imparare lo spagnolo e si è fatto crescere una lunga barba. Possiamo dire che ha creato Luciano, anche fisicamente, come una sorta di scultura.
Per il personaggio di Emma ‐ l’amore di Luciano ‐ cercavamo una ragazza con una personalità spiccata, serviva qualcuno che potesse tener testa a Luciano, in qualche modo domarlo. Era davvero un ruolo chiave: l’eroe è senza dubbio Luciano, ma in qualche modo tutto il film parla di lei. A differenza degli altri, Maria Alexandra Lungu è venuta a un nostro casting, aveva già fatto esperienza come attrice con Alice Rohrwacher in Le meraviglie (2014). Quando l’abbiamo incontrata siamo rimasti colpiti dal suo carattere, dalla sua forza e da quello che era in grado di trasmettere, tutto molto più vero della nostra scrittura.
Dall’Italia alla Terra del Fuoco argentina
Abbiamo cominciato girando il Capitolo Uno a Vejano, lo scorso settembre. Volevamo evitare i paesaggi bruciati tipici dell’estate italiana per mostrare invece una campagna verde, rigogliosa. Durante le riprese del nostro precedente film, Il Solengo, la troupe era molto ridotta. Re Granchio ha invece richiesto una troupe più numerosa. Non per questo possiamo dire che il set fosse molto tradizionale. La sfida principale è stata quella di trovare un metodo di ripresa adatto a persone che non sono attori professionisti. Non potevamo aspettarci che ripetessero la stessa scena venti volte: dovevamo evitare di spezzettare troppo l’azione. Con il direttore della fotografia, Simone D’Arcangelo, abbiamo trovato un metodo un po’ eterodosso ma che ci ha permesso di lavorare con grande flessibilità.
In Argentina invece abbiamo girato in modo molto più tradizionale anche perché abbiamo scelto di lavorare con tre attori e un solo non professionista. Sfide diverse ci aspettavano. La preparazione è stata complicata: le location necessarie a raccontare il viaggio si estendevano dalla città di Ushuaïa su un raggio di 200 chilometri, dalla Cordigliera alla costa Atlantica della Isla Grande della Terra del Fuoco. È stata un’esperienza avventurosa dal punto di vista logistico: abbiamo attraversato il Canale di Beagle con dei gommoni, siamo saliti in cima a montagne a piedi, abbiamo fatto riprese aeree. Abbiamo affrontato il film con ambizione e i nostri produttori ci hanno accompagnato fin dall’inizio su questa strada perché hanno sempre condiviso con noi gli stessi obiettivi.
Musica e canti
In Re Granchio sentiamo diverse musiche, ciascuna con una funzione diversa, frutto di un lavoro molto lungo con il compositore Vittorio Giampietro, con cui abbiamo sempre lavorato. C’è la musica cantata, che veicola contenuti narrativi e musiche esclusivamente strumentali e che entrano in relazione dialogica con le immagini. Abbiamo preso spunto dai canti popolari della tradizione italiana. Questi sono spessi costruiti intorno a una melodia, che resta più o meno la stessa, mentre i testi cambiano molto, addirittura di paese in paese. Non è difficile trovare in questi testi riferimenti a personaggi della memoria collettiva. Alcuni paesani, per esempio, si ricordavano una canzone, o una strofa, che parlava di Luciano. Era vero? Forse parlavano di qualcun’altro? Può essere che l’avessero inventata? Va a sapere. Come nei miti, anche di questi canti ognuno ha la sua versione, e tutte queste versioni hanno elementi comuni e variazioni, divergenze. Ci interessava identificare quelle germinazioni, come se le storie fossero piante e occuparci della loro sopravvivenza. Anche per la musica abbiamo cercato un dialogo con la tradizione per essere parte della sua evoluzione.
Ci riesce difficile fare un discorso generale quando il risultato è così legato a ogni scena. Abbiamo voluto evitare la consuetudine in cui la musica è un mezzo per amplificare o
sottolineare le emozioni. Abbiamo cercato invece di utilizzare la musica come contrappunto allo sviluppo narrativo del film.
Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis