TORINO FILM FESTIVAL 39 - "La Restanza"
Per raccontare "
La restanza" vorrei partire da quello che nel documentario non c'è, perché se la prima cosa che ho sentito l'impellenza di fare al termine della visione è andare a controllare che il Mulino di comunità esista ancora e con lui la Casa delle Agriculture - il suo agente propulsivo - significa che l'utopia da cui prende le mosse coinvolge, e questa storia andava raccontata.
Siamo in Salento, terra di trascorsi agricoli e presenti un po' meno legati alla terra. I paesi si spopolano, le case sono in vendita, i giovani aspirano alle città, anche fuori regione. Un gruppo di amici un po' naif, un po' idealisti, vuole trovare la chiave per dare un senso al 'restare' e decide di recuperare terreni in disuso per coltivare la terra in modo naturale. Non è una storia nuova, ma i tanti anni di riprese (sei) e la scrittura ricca di particolari (in alcuni casi tangente alla rappresentazione) consentono la visione completa del percorso, con le sue ingenuità, i momenti di entusiasmo e quelli di depressione, gli sforzi, le azioni ma anche tante parole, il gruppo allargato alle famiglie e, soprattutto, alla comunità. Quella Comunità con la 'c' maiuscola che si vuole proteggere e in alcuni casi (ri)costruire. Per la quale a un certo punto si alza l'asticella e si cerca di realizzare l'impresa di un mulino locale.
Importante, emerge anche il confronto tra generazioni, dove i figli vogliono riscattare un lavoro che per i genitori è stato solo fonte di sacrifici e umiliazioni, e per i più giovani indice di vergogna.
Si lotta contro l'asetticità, come commenta in esordio di documentario un 'contadino idealista': "qui non c'è nulla di asettico. Tutto è vivo".
Ci si mette in gioco per sé stessi ma poi si vuole qualcosa di più. Ci si mette in gioco per la comunità ma poi ci si trova ad avere fatto qualcosa per sè.
28/11/2021, 07:58
Sara Galignano