PERDUTAMENTE - Incontro con il regista Paolo Ruffini
“Non credo che si debba per forza avere un’attinenza personale per raccontare qualcosa, sono partito per un viaggio che non sapevo dove mi potesse portare, ero semplicemente mosso dalla curiosità”, così
Paolo Ruffini sul suo nuovo documentario, codiretto con
Ivana Di Biase, "
PerdutaMente", nel qual affronta il tema dell’Alzheimer attraverso le storie di chi si prende cura dei malati: mogli e mariti, figli e nipoti, le “seconde vittime” di questa malattia. “Il film lo abbiamo realizzato in quasi 2 anni, pensavo fosse urgente, siamo in un periodo storico in cui si parla tanto di malattia e poco di salute, si parla tanto di morte e non di vita, mi interessava spostare il fuoco. Questa non è solo una malattia ma un modo diverso di concepire la vita, mi chiedevo perché se ne parlasse così poco in larga scala, e come è successo prima per “UP&Down” (con protagonisti attori con sindrome di Down) abbiamo pensato che si potesse realizzare un film “pop” su questo tema”.
“Io ho curato di più la parte di ricerca e sviluppo”, ha spiegato Ivana Di Biase, “con nostra enorme sorpresa abbiamo ricevuto centinaia di lettere, messaggi, segnalazioni. È stato un lungo lavoro sia per cercare storie che rappresentassero vari aspetti, sia per prepararci ad affrontare questo tema con cura e con rispetto. È successa una magia dopo l’incontro con Franco (marito di una donna alla quale è stato diagnosticato l’Alzheimer a soli 30 anni), è stato uno spartiacque, perché attraverso di lui sono riuscita a fare questo link tra la parte scientifica e quella emotiva che ha saputo raccontarci, e abbiamo scoperto che condividere per queste persone è catartico, ci hanno regalato le loro storie, le loro vite”.
Un argomento che è poco affrontato, che spaventa e che è considerato solo un male “riservato” agli anziani:
“Quello che pensavo inizialmente è che fossero storie legate a persone anziane”, ha dichiarato Ruffini, “per me l’Alzheimer era questo. Quando Ivana mi ha detto che arrivavano storie dove il legame d'amore non era solo coniugale, ma si trattava di sorelle, di figli, di madri, mi sono accorto che non è legato alla vecchiaia, ma è una malattia che è legata alla vita. Abbiamo iniziato a raccogliere storie che avevano un carattere diverso, ci siamo resi conto che raccontando diversi tipi di storie raccontavamo diversi tipi di vita. Il film ha avuto una lavorazione talmente lunga che nel corso di questi anni sono successe tante cose, delle persone se ne sono andate, la parte emotiva è forte, non è semplice, non pensavo che sarebbe stata così difficile”.
È sempre spiazzante vedere un comico come Paolo Ruffini nei panni del regista impegnato, che affronta temi non semplici da trattare soprattutto con leggerezza:
“Per me la comicità è molto profonda”, ha spiegato il regista, “comici illustri che ci hanno preceduto raccontavano di episodi tragici anche in maniera comica, siamo noi che in questo momento scambiamo la comicità come qualcosa senza pensieri, ma il più grande senso del comico è esattamente la tragedia, nella commedia all’italiana, Risi, Monicelli riuscivano a raccontare un versante divertente dietro tematiche importanti come la grande guerra. Per questo il grande equivoco che avviene in Italia è di pensare che il comico sia soltanto un giullare”.
08/02/2022, 11:44
Caterina Sabato