Note di regia di "Quel che ci resta"
“Quello che ci resta” è la mia seconda opera come regista, ma è un’esperienza comunque nuova in quanto, per la prima volta, mi sono cimentato in una narrazione per immagine di un soggetto che non avevo scritto e non mi apparteneva (l’autore del soggetto è Domenico Moccia), ma che dal primo momento ho cercato di sentire mio. Credo di esserci riuscito. Volevo restituire, durante la visione della prima parte del corto, quel senso di noia cadenzata che un po’ tutti noi abbiamo vissuto durante il primo lockdown. Un vuoto assoluto riempito solamente da serie Tv, videogame, film o qualsiasi altra cosa potesse distrarci dal baratro dell’immobilismo assoluto. In questo contesto le videochiamate fra i due protagonisti diventano ancora di salvezza e momento di condivisione, anche se, fondamentalmente, si condivide il nulla: Cosa posso dirti di nuovo se non faccio assolutamente niente in tutta la giornata? Il cinema però ci insegna che la narrazione passa da una chiave di volta che spesso è la difficoltà che i nostri personaggi devono affrontare, superando il loro tragico “fatal flaw”. La situazione quindi cambia a metà del corto, dopo un momento di condivisione intima dei due protagonisti, ed è li che la non-narrazione prende una piega veloce ed inaspettata.
Marcello Vitiello