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Note di regia di "Sir"


Note di regia di
Il corto tratta il delicato tema dei miracoli. Nello specifico, Francesco, “Sir”, possiede il cosiddetto “dono dell’illuminazione diagnostica”, una capacità di identificare con precisione una malattia, suggerendone la cura o portandovi rimedio. Ma l’uomo patisce “la maledizione del guaritore”: non riesce a sfruttare il suo potere miracoloso per curare i congiunti. Questa impossibilità di salvare
Anna gli procura il biasimo e il disprezzo di sua figlia Luna. Gaia, la figlia di Luna, è invece fortemente legata al nonno: lo segue di continuo e ne ammira le doti curative. Sarà lei la chiave risolutiva della storia.
La religiosità e l’alone taumaturgico che caratterizzano Francesco non sono il riflesso di vane superstizioni, né di vuoti retaggi mistici: simboleggiano, piuttosto, la dimensione più terrena del sacro, patrimonio folcloristico-religioso di un territorio di montagna che ho preferito non localizzare. Inoltre, Francesco è un curatore di anime, non di corpi. La sua missione è nobile: mira alla redenzione spirituale, prima ancora che alla salvezza fisica.
È quanto emerge dall’intenso colloquio col personaggio di Michele (Giuseppe Ciciriello), uomo di potere dal passato losco che irrompe in casa di Francesco per chiedergli la grazia. Ma il guaritore ribadisce che i suoi poteri tolgono il male solo ad un’anima pulita, mentre Michele ha lordato di peccati il suo spirito. Francesco propone il suo oracolo: per salvarsi, Michele dovrà rinunciare a tutto il suo potere, promettendo di cambiare totalmente vita. L’uomo, tremante di dolore fisico e spirituale, dopo una lunga indecisione accetta. E
riesce effettivamente a salvarsi.
Nonostante la positività della sua figura e l’eccentricità del suo aspetto fisico e del suo abbigliamento, Francesco è persona semplice.
La sua religiosità non ha alcuna sovrastruttura intellettuale: è qualcosa di fisico e di istintivo nella sua primordiale purezza. E tuttavia l’uomo, per tutta la durata del corto, resta uno sconfitto. Dopo l’ennesimo, inutile tentativo di guarire Anna, si abbandona alla rabbia e distrugge tutti i suoi altari: a quel punto l’ascetico guaritore ci appare in tutta la sua mortale fallibilità. È la sua passione: la sua notte di sofferenza e di trapasso interiore. Solo un altro miracolo può annullare la sua maledizione: le magiche bolle di sapone di Gaia, un elemento poetico che ho tratto dalle pagine di Italo Calvino.
La scelta del dialetto stretto per tutti i personaggi imprime veridicità alla messa in scena e ai dialoghi. Lo stile di regia, improntato sulla macchina a spalla, scaturisce dal desiderio di entrare il più possibile dentro la storia. E tuttavia si tratta di uno sguardo volutamente impreciso, che non ha mai l’obbiettivo di offrire una valutazione morale del personaggio. L’intenzione è infatti quella di lavorare sull’imprevedibilità delle scelte prese di volta in volta dal guaritore. È per questo che la camera spia, ma non anticipa mai i movimenti del protagonista: si limita ad aspettare le sue decisioni, secondo un’impostazione estremizzata e quasi documentaristica.
La fotografia evidenzia il dramma e le ombre interiori del protagonista attraverso decisi tagli di luce che restituiscono il sapore dei luoghi, in un’atmosfera di affascinante sacralità. Anche la scenografia sottolinea il realismo magico degli interni: l’arredamento sobrio e il disordine determinato dall’accumulo di innumerevoli oggetti si fondono con l’immanente presenza del sacro, in un’armonia spaziale fra il guaritore e il suo nido famigliare. Di qui la compresenza di elementi religiosi (candele, santini, rosari, altarini, immaginette, statuine, coroncine
ecc.) e di elementi, per dir così, “pagani”, principalmente legati alla malattia di Anna. Sir è una storia che trasuda realtà, sudore, verità.

Maurizio Ravallese