Note di produzione de "L'ombra di Caravaggio"
La prima idea del film risale al 1968 quando Placido, appena arrivato a Roma, trascorre i pomeriggi a Campo de’ Fiori insieme ai suoi colleghi dell’Accademia. Le suggestioni della grande città, la sua storia, la vicenda di Giordano Bruno accendevano discussioni sul filosofo e sulla sua epoca e disegnavano sogni su futuri progetti che avevano come cornice quel periodo storico e quella città teatro del mondo, in cui papato, nobiltà e suburra convivevano e in cui Caravaggio cercava il suo spazio. Il film che Placido aveva in mente era un racconto cinematografico nella cifra di Caravaggio che restituisse tutta l’autenticità dell’artista con i suoi vizi e le sue virtù nella sua profonda e viscerale umanità e allo stesso tempo tutta la verità della sua epoca, con i suoi odori e sapori, lontano da ogni patina scolastica o accademica. La rivoluzione di un pittore terribilmente scomodo che in una Roma piena di spie filofrancesi o filospagnole raccoglieva per strada i suoi compagni di viaggio - ladri, prostitute, vagabondi - per farne pasolianianamente soggetti e modelli dei suoi quadri, trasfigurati in santi e madonne e in icone immortali. La visione del regista mette così a fuoco l’impenetrabile oscurità di un genio capace di illuminare il mondo con la sua arte e un individuo in lacerante conflitto con se stesso. Un racconto cinematografico in linea con l’urgenza di verità del pittore che durante un processo aveva apertamente e pubblicamente dichiarato : “Io cerco il vero”.