Note di regia di "Stonebreakers"
Nel maggio 2020, quando l’onda delle proteste Black Lives Matter si è riversata per le strade delle maggiori città americane, ero a New York e avevo da poco messo in pausa la produzione di un documentario sul mito di Cristoforo Colombo e sulle controversie legate alla celebrazione del Columbus Day. Con l’arrivo della pandemia il tema sembrava finito in secondo piano, ma ho dovuto ricredermi subito, quando la prima statua di Colombo è stata abbattuta nel mezzo delle proteste per l’uccisione di George Floyd. Nei mesi a seguire, le azioni dei manifestanti hanno colpito anche altri monumenti, collegando simbolicamente Colombo, confederati, padri fondatori e altri protagonisti del racconto storico nazionale. Ho deciso in quel momento di allargare lo sguardo del film, di non fermarmi a Colombo e di affrontare il nodo della memoria americana nella sua totalità. Così, a cominciare dall’estate, ho attraversato gli Stati Uniti documentando proteste e rimozioni di statue e raccogliendo le testimonianze di storici, artisti e attivisti in luoghi di memoria trasformatisi in luoghi di conflitto. Mentre nel dibattito pubblico cresceva l’indignazione e la paura per una imminente “cancellazione della storia”, mi rendevo conto che era vero il contrario: stavamo assistendo a un’irruzione del passato nel presente, a un'opportunità senza precedenti di vagliare i miti nazionali e di confrontarsi con le pagine più oscure della storia americana. Nel saggio del 1940 “Sul concetto di storia”, Walter Benjamin scrisse “Non c’è un solo documento di cultura che non sia anche documento di barbarie”.
Nell’estate del 2020, questa duplice natura del monumento si è rivelata con forza: la contestazione ha fermato il tempo e frantumato l’aura di intoccabilità e magniloquenza che da sempre circonda i monumenti. Si sono aperte crepe nella pietra, fessure attraverso le quali si intravede una verità diversa: una storia americana fatta di brutalità e sfruttamento, ma anche di resistenza all’oppressione e al potere dominante. Il recupero di queste eredità storiche ha catalizzato l'attuale movimento di protesta e al contempo ne è diventato il mezzo per rivendicare un cambiamento politico, qui e ora nel nostro presente. La rottura con la visione trionfalistica del passato rappresenta quindi l'occasione per sovvertire lo status quo, “una chance rivoluzionaria nella lotta per il passato oppresso”, come scriveva Benjamin. Stonebreakers è sia la testimonianza di una stagione straordinaria che un contributo a un dibattito pubblico sul ruolo della memoria e della public history. Fare i conti con il passato non significa congelarlo dentro un monumento, ma affrontarlo, riaprirlo alla discussione e continuare ad attualizzarlo. Mi auguro che questo film possa incoraggiare il suo pubblico a condividere questa responsabilità e a immaginare monumenti che non rappresentano solo eroi armati a cavallo che si impongono dall’alto di un piedistallo, ma che esprimano una storia di cui siamo al tempo stesso spettatori, interlocutori e critici protagonisti.