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MARCO BONADEI - La mia ispirazione principale è la vita


Intervista all’attore genovese che si divide tra teatro e cinema. È in sala con i Manetti Bros ed è nel cast del prossimo film di Gabriele Salvatores.


MARCO BONADEI - La mia ispirazione principale è la vita
Marco Bonadei
Lo vedremo prossimamente nel nuovo film del premio Oscar Gabriele Salvatores "Il ritorno di Casanova" e in questi giorni è al cinema con “Diabolik – Ginko all’attacco” dei Manetti Bros. Marco Bonadei si forma giovanissimo al Teatro Stabile di Torino, dove si diploma nel 2009. Dal 2010 collabora stabilmente con la compagnia del Teatro dell’Elfo di Milano. Al cinema e per il piccolo schermo è stato diretto da registi come Antonello Grimaldi, Francesco Patierno, Monica Vullo e Alexis Sweet, ma il primo ruolo importante arriva nel 2021 con "Comedians" di Salvatores nel ruolo di Sam Verona, cinico proprietario di un night pronto a tutto pur di diventare un comico di successo.

Come è stata l’esperienza sul set con i Manetti Bros?

"Io amo tantissimo il cinema dei Manetti, quindi è stato innanzitutto un regalo poter partecipare a un loro film. Poi trovarmi sul set con due registi collaudati da così tanti anni che sono anche fratelli ti fa percepire il loro legame unico, si occupano di tutto e si spartiscono i ruoli. C'è Marco che spesso sta al monitor, poi viene, ti dà indicazioni insieme ad Antonio che sta invece sul set con te, con la steadycam addosso. Quindi hai un regista che ti guarda da fuori, un regista che ti affianca e ti senti tutelato, ti senti di far parte del loro processo di creazione, che è questa la cosa più bella. Per loro credo non sia stato facilissimo perché hanno portato sullo schermo un'icona del fumetto, e personificare un'icona è sempre qualcosa di veramente complesso".

Nel 2021 hai partecipato da protagonista insieme ad Ale e Franz e Christian De Sica a “Comedians” di Salvatores, tratto da un suo spettacolo teatrale del 1985, basato sull’ omonimo dramma di Trevor Griffiths, tu che nasci a teatro e fai principalmente teatro come ti sei trovato in questa trasposizione cinematografica?

"È stata la prima cosa grossa che ho fatto in ambito cinematografico. Abbiamo innanzitutto fatto una esperienza di un mese e mezzo tutti i giorni insieme, anche perché eravamo in piena pandemia e questo ha creato un gruppo di persone che ancora oggi si sentono. Poi il fatto che partisse da un testo teatrale per adattarsi al linguaggio cinematografico invece non è stato di per sé un vantaggio, nel senso che se tu devi fare uno scarto da un linguaggio che si conosce molto bene, che è quello teatrale, a quello prettamente cinematografico, magari iperrealista, cambi proprio strategia e cerchi di adeguarti al 100%, virando completamente rotta. Quello che invece Gabriele Salvatores ci chiedeva era di stare in bilico sul filo come un equilibrista, quindi non sbilanciarci troppo verso l’iperrealismo ma neanche essere troppo teatrali. È stato un lavoro più da equilibrista, ma c'era Gabriele che è un'ottima guida, è strepitoso perché ha la capacità di avere perfettamente in mente che cosa è il suo film, ma anche di lasciarsi stupire dagli interpreti. Anzi, chiede molta libertà, molta improvvisazione, e forse sono anche le parti più belle che sono venute fuori".

Tra l’altro sarà nel suo prossimo film “Il ritorno di Casanova” nel ruolo di Lorenzo Marino, giovane regista cinematografico di successo.

"È un film autobiografico, Gabriele ha fatto un bellissimo film a mio avviso, non lo dico perché ci sono dentro, ma è magico. Io interpreto un giovane regista che rappresenta il nuovo, rappresenta i giovani che avanzano, la novità in contrasto a un regista ormai più che maturo, un regista che è un maestro che invece si sente all’imbrunire e nasce qui uno un rapporto speculare a quello che poi c'è nel romanzo di Schnitzler, “Il ritorno di Casanova”, da cui prende il titolo e che viene rappresentato all'interno del film, il rapporto che c'è fra Casanova e il tenente Lorenzi. Quindi ha costruito un film che ha molti richiami al suo interno, ma non posso addentrarmi troppo nella trama".

Sei anche un autore e regista teatrale, pensi un giorno di tentare anche la regia cinematografica?

"Oggettivamente la vedo molto lontana come possibilità. Sono un grande appassionato di cinema come spettatore, ho grandi desideri di crescere anche in ambito cinematografico ma in prevalenza come attore. Poi in futuro, chissà…"

Hai dei modelli di riferimento, attori ai quali ti ispiri?

"Non c'è un attore a cui mi rifaccio, modelli ne ho a bizzeffe, da tutto il grande cinema americano, al cinema italiano dagli anni 50 ad oggi, al panorama teatrale e anche internazionale. Quello però che per me oggi deve diventare un compito, e penso sia la strada più interessante per un artista, è cercare di abbandonare i riferimenti nell'arte e cercare i riferimenti nella vita, almeno per quello che è il mio lavoro, non parlo come regista, parlo come attore, riuscire a cogliere direttamente dalla vita i modelli imitativi di interesse, perché è un modo per non bypassare la realtà. Un artista si fa alla realtà, come dice Shakespeare, è specchio della natura, è giusto avere, per quanto mi riguarda, dei modelli, ma il modello principale è la vita, sono le persone reali, gli accadimenti reali, quello che conosci o che osservi".

Da autore come vivi lo spettro del politicamente corretto, tema sempre attuale quando si parla di film e spettacoli?

"Detesto visceralmente il politicamente corretto, soprattutto in arte, perché l'arte ha il ruolo di sovvertire ciò che sono le regole standardizzate della società, per porre delle domande all'uomo, non per forza per demolirle. Abbiamo appena portato in scena con il Teatro dell'Elfo “Alla greca” di Steven Berkoff, un autore che ha fatto una riscrittura di Edipo in chiave comico grottesca, estremamente barocca nell'uso del linguaggio. Nel finale Edipo decide di non strapparsi via gli occhi, di non fare impiccare sua madre, di non buttarla in questa enorme tragedia, nel senso di colpa, ma di ritornare per la via da dove è uscito, rilanciarsi nell'utero materno con turpiloquio e volgarità annesse. Un testo scritto nell'81 quando il politicamente corretto ancora non era un diktat, ma devo dire che oggi l'argomento dell'incesto materno, il turpiloquio, un linguaggio “pornofonico” soddisfa sì, una fetta di pubblico, ma un’altra parte è più rigida, alla fine dello spettacolo è indispettita".

Ritornando al cinema, che personaggi ti piacerebbe interpretare?

"Non c'è un personaggio che mi piacerebbe interpretare, ci sono personaggi che di sicuro posso fare meglio, personaggi che posso fare peggio, personaggi che posso fare e altri che non posso fare, personaggi che forse mi appassioneranno nella loro storia o mi riguarderanno maggiormente per il loro vissuto, per delle caratteristiche, ma i miei desideri sono sulla collaborazione artistica, sarò banale ma penso a Garrone, a Sorrentino, a Virzì, ovviamente al nostro caro Gabriele Salvatores, desidererei avere altre opportunità di collaborazione con lui, e a Gabriele Mainetti, solo per citarne alcuni".

Adesso cosa stai facendo? Dove ti vedremo?

"Sto per debuttare a dicembre a Milano al Teatro Elfo Puccini con lo spettacolo “Nel guscio”, tratto da un romanzo di Ian McEwan, ed è molto divertente perché mi fa fare il giro di boa, nel senso che se con Edipo sono tornato nell'utero materno, qui mi ci trovo già nell'utero, perché è una riscrittura di “Amleto” di Shakespeare ambientata nella Londra contemporanea, soltanto che Amleto è un piccolo feto di nove mesi che dall'utero materno ascolta e sente quello che succede al suo esterno, sente le trame per uccidere il genitore e quindi da lì si apre un giallo. E poi sto preparando un mio lavoro autorale che si chiama “Apple Banana” che debutterà a marzo sempre al Teatro Elfo Puccini, parla di evoluzione come persona e come specie, di problemi nello scegliere, nello scegliere la propria identità, nello scegliere come presentarsi al mondo, nello scegliere tutto. In fin dei conti la vita è anche una scelta".

04/12/2022, 09:10

Caterina Sabato