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Note di regia di "Filumena Marturano"


Note di regia di
Sono abituato a fare lunghe chiacchierate con gli attori che vengono a fare i provini, prima di vederli in azione. Oltre al valore dell’interprete, cerco di capire che persone sono, che mondo frequentano, se sono ricchi o come campano, se sono innamorati, se sono in buoni rapporti con i parenti, e che genere di letture preferiscono. Č un lavoro che mi arricchisce. Intimamente invidio il talento degli attori, la bellezza, e soprattutto il loro coraggio. Anche se non lo ammetterei mai (e mai lo concederei ai miei figli) avrei voluto essere attore. A dirla tutta – se la fortuna mi avesse baciato e mi avesse fatto attore – avrei voluto essere un attore napoletano. Non si č realizzato nulla di tutto ciň: non riesco a mettere in fila due battute neanche col testo sottomano, e soprattutto sono cresciuto in provincia di Cuneo, famosa a Napoli solo per i trascorsi militari di Totň. Peraltro, non bevo caffč, non sono scaramantico, tifo per una squadra finanziata da un’industria di automobili piemontese. Quando mi chiesero se mi incuriosisse l’idea di fare Filumena, dovetti dare alla mia coscienza una buona ragione per accettare. Anche una menzogna qualunque, che non fosse il vil denaro. La trovai, studiando l’opera di De Filippo, ma non era una menzogna: era l’amore per gli attori, appunto. In quelle famose chiacchierate poi, un giovane attore, Giovanni Scotti, che nel film interpreta Umberto, mi disse una cosa che gli promisi mi sarei rigiocato quando i giornalisti legittimamente mi avrebbero chiesto conto di questa bizzarra impresa. Dunque questa č di Giovanni, ma ci credo anche io: Filumena č un testo vivo. E come č giusto che sia, vuole essere rappresentato. Vuole continuare a essere vissuto. Dagli interpreti e dal pubblico. Forse perché la scrisse per la sorella Titina, il fatto č che Filumena č l’unica commedia in cui De Filippo sottrae al tema della famiglia quel sentimento di cinismo e rancore che caratterizza altri testi celeberrimi. Qui Eduardo si abbandona al melodramma. Abbandonarsi all’amore: questo č il percorso di una tosta, indurita dalla vita, come Filumena. Il suo arco č chiaro. Una che all’inizio non sa che significa piangere, e che alla fine invece si commuove e ci dice che piangere č bello, e che la tenerezza č l’obiettivo della nostra vita. Una grande storia d’amore, questo č Filumena. Molteplice: c’č quella con Soriano, c’č quella con i figli, c’č pure quella tra Soriano e i figli. Un regista di commedie sentimentali come me ci dovrebbe andare a nozze... E invece no: č qui che De Filippo si diverte ad agitare le certezze degli sventurati come il sottoscritto. L’unica lacrima che verserai – dice Eduardo a Filumena – sarŕ nell’ultima scena. Un melodramma colmo di tenerezza, ma nascosta, o trattenuta, senza abbracciarsi mai, senza concessioni retoriche, senza una lacrima, fino alla fine. Questa č la sfida ambiziosissima che Eduardo ingaggia con il suo testo e i suoi personaggi, e ci consegna oggi. Una celebrazione del lavoro dell’attore, in chiave tematica. Su questo aspetto abbiamo riflettuto con gli sceneggiatori Massimo Gaudioso e Filippo Gili. Filumena č, a sua insaputa, un’attrice: nell’agonia recita una parte in maniera sublime – riesce a far credere a tutti che sta per morire per davvero. Ma non lo fa attraverso strumenti consapevoli. Lei sa come si recita perché ha molto vissuto e molto sofferto. Questo le hanno insegnato le lacrime mai versate: a recitare. Nella mia visione, solo un’attrice oggi poteva fare Filumena. Vanessa Scalera. Non si č ispirata a Titina, né alla Loren, né alla Bianchi o alla Melato. Ha fatto la sua Filumena. Non ce lo siamo mai detti, ma rivedendola a film finito, credo l’abbia fatta come l’avrebbe fatta la Magnani.

Francesco Amato